Capitolo XXII (R)

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«Dove hai detto che si trova la sua stanza?» chiesi dopo aver riacquistato l'abilità di parlare. Tutta la conversazione sembrava essere parte di un brutto sogno, era troppo insensata per essere vera. Più delle mie scosse, la voce e l'Elezione messi insieme.

«Nel corridoio alle nostre spalle, terza stanza dal fondo. Domani ci andiamo insieme e chiariamo quest'assurda storia, ora però sbrigati a rientrare perché è si è fatto tardi» m'intimò il biondino. «Sono certo che tu ti sia confusa, ci sono molte malattie causate dalla Grande Guerra che siamo riusciti a curare» tentò di rasserenarmi. Io, però, sapevo di non essermi sbagliata.

Mi accompagnò alla porta e mi guardò con quelle sue pozze azzurre, ancora scosse dall'ultima rivelazione. «Mi dispiace essermi intromesso così, non ne avevo il diritto».

In un altro momento mi avrebbe trovato d'accordo ma, date le circostanze, era stato un bene. Senza di lui non avrei mai realizzato la stranezza che aleggiava intorno a me e Shawn, alla sua malattia e la prodigiosa guarigione. «Alla fine qualcuno me lo avrebbe chiesto, è un bene che sia stato tu. Non ne parlavo con qualcuno da anni» dissi in sincerità.

Avevo smesso di parlare di Shawn dal giorno del trasferimento, lo avevo reso un brutto ricordo, finché, con il passare degli anni, non lo avevo trasformato in un fantasma. Se Shawn avesse semplicemente continuato a ignorarmi, probabilmente, non avrei fatto caso alla sua presenza. Quando qualcosa mi feriva la lasciavo sbiadire, fingendo che non esistesse, finché non riuscivo più a riconoscerla. Lo avevo fatto con Shawn, e lo stavo facendo con Quiana.

Sono una persona orribile, pensai.

Proprio mentre lo realizzavo, William mi abbracciò. Un dolce tepore mi avvolse, qualcosa a cui avevo rinunciato, e che mi convincevo non mi mancasse: il calore di un amico. Gli restituii l'abbraccio, mai confortante quanto il suo, e mi accorsi di quanta paura avessi. Mancavano due prove prima del ritorno al mio piccolo, egoistico mondo, dove lui non c'era. Il mio angolo di vita era fatto di tanti Paterson, Lusyelle e Jefferson, nessuno disposto a preoccuparsi per me.

«Ti accompagno» disse, sciogliendo l'intreccio troppo presto.

«Non preoccuparti, ho bisogno di pensare.»

All'inizio non parve molto convinto, poi decise di lasciarmi i miei spazi e mi guardò imboccare la via di casa dalla porta della sua stanza. Aspettai che chiudesse prima di cambiare strada. Non era una buona idea presentarmi da Shawn quella stessa notte, ma dovevo assolutamente parlargli. Mi dispiacque per William, non potevo aspettarlo.

Percorsi il corridoio a grandi falcate, contando le stanze fino a trovare quella la sua. La cena era finita da un pezzo, a meno che non stesse girovagato per la Base o fosse con qualcun'altro, avrei dovuto trovarlo lì. Bussai senza pensare a cosa gli avrei detto, mi concentravo troppo sullo scovare le persone e troppo poco sul cosa dire. Non avevo un orologio, non sapevo quanto mancasse all'inizio delle scosse e, cosa peggiore, non me ne preoccupavo minimamente Con Shawn era tutto sempre molto rapido e poco proficuo, avrei finito in fretta. In effetti, presentarmi alla sua porta era inutile.

Ci fu un lungo silenzio, nella quale pensai che non ci fosse, poi la serratura sfrigolò e il ragazzo dai capelli rossi comparve. Indossava il pigiama e mi guardava dall'alto in basso, come fossi uno scherzo della sua immaginazione. Aveva un aspetto così normale per essere uno che era guarito da una malattia mortale e incurabile.

«Vèna» disse, appoggiandosi allo stipite. «Immaginavo saresti venuta dopo aver parlato con il tuo amichetto, non credevo oggi. È tardi, vai a dormire e torna domani» provò a liquidarmi.

«Shawn...» iniziai, senza sapere cosa chiedergli. Le domande durante il tragitto dalla stanza di William alla sua, si erano triplicate. Non riuscivo a decidermi, né a guardarlo come prima: trovavo innaturale che fosse lì davanti a me, dopo le lunghe spiegazioni di William.

Election [I libro, Rose Evolution Saga]Donde viven las historias. Descúbrelo ahora