A LITTLE MAN

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       " Le illusioni simili ai fuochi d'artificio, illuminano il nostro cielo con un'esplosione di colori, per poi dissolversi e lasciarci nel buio"

Emanuela Breda


VICTORIA'S POV


<< Il signor Kurt mi ha detto di riferirle di non aspettarlo >> 

<< Come dice scusi? >> ricordo di aver sussultato più del consentito perché il docile ragazzo che si stava occupando del mio check out sembrò quasi spaventato dalla mia reazione. 

<< Ha lasciato la sua camera all'inizio del mio turno, quindi molto presto signora Wilson >> e dal suo faccino fanciullesco, ma annoiato e stanco dedussi che non fosse affatto soddisfatto dei suoi turni di lavoro.

Il saluto che riservai ai miei colleghi fu piuttosto frettoloso, ma mi costrinsi a concedere tutti i sorrisi che avevo imparato ad emulare per i fotografi, ai monotoni eventi di famiglia. L'idea di poter diventare come mia madre mi diede il voltastomaco. 

Per tutto il tragitto in direzione Charles De Gaulle tentai di mettermi in contatto con lui in ogni modo possibile. Dopo una decina di messaggi privi di risposta, decisi di chiamarlo e quando fu la voce melliflua della signorina della segreteria telefonica a consigliarmi di riprovare a contattarlo in un secondo momento, ebbi la felice idea di contattare Alp. 

<< Mi dispiace Viky, non contattarlo più >> 

Il più delle volte apprezzavo Alp perché aveva la capacità di darti le notizie più sconvolgenti mantenendo una pacatezza disorientante. Eppure quella risposta sortii i suoi effetti indesiderati. Strabuzzai i miei occhi già ricolmi di lacrime bollenti  e dopo aver riattaccato, ne raccolsi alcune con il pungente guanto in lanetta.

Non contattarlo più.

Mi dispiace Viky.

Non contattarlo più.

Parole che, a tamburo battente, tempestarono la mia testa ed annebbiarono prima la mia vista e poi tutti i miei sensi. 


<< Signora si sente bene? venga a sedersi >> vidi accorrere un addetto ai controlli per evitare che crollassi al suolo. Mi porse un bicchiere colmo d'acqua e nell'andirivieni quotidiano dell'aeroporto parigino sperai, scioccamente,  di scorgere un volto conosciuto tra i mille estranei che calpestavo i trendaduemila metri quadri di quel posto come tanti.

Appoggiai il mio corpo sfibrato ad un muro gelido ed attesi un uomo sulla cinquantina che  sgambettò nella mia direzione con un kit di primo soccorso. Qualcuno ritenne opportuno farmi visitare da un medico dell'aeroporto principale di Parigi. Misurò la mia pressione sanguigna ed altri parametri vitali, confermando ciò di cui ero perfettamente consapevole.

Stavo benissimo, almeno fisicamente. 

C'è un dottore di anime? avrei avuto bisogno di quello piuttosto, solo lui avrebbe potuto diagnosticare la mia patologia. Non ero affatto una malata immaginaria, ma una malata di illusioni. E mi sentii ancora una volta, la bambina dagli occhi cielo che credeva al trucco del coniglio furbacchione che spunta dal cappello magico. Perché la sera precedente era stata una chimera, un castello d'aria demolito dalla tempesta notturna che si era abbattuta sulla capitale francese e su di me.

Il barlume di speranza che quella potesse diventare la nostra quotidianità se l'era portato via con sè partendo senza alcuna spiegazione. 

Sparito, volatilizzato esattamente come cinque anni prima.

TWICE - Like a stormWhere stories live. Discover now