2. Physique du rôle

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Valeria distese le gambe sul sedile del passeggero. Quella macchina era decisamente troppo piccola, non appena avesse avuto abbastanza soldi se ne sarebbe comprata un'altra, sì.

Sbirciò fuori dal finestrino. Era ancora piuttosto presto.

Anna non sarebbe venuta a prendere la corriera che da lì a una mezz'ora, ma l'attesa valeva la sorpresa che le avrebbe fatto. Non la vedeva da così tanto tempo che non voleva altro che abbracciarsela un po', farle il solletico e portarla a mangiare un gelato...

Occhieggiò distrattamente la piazza e un po' del suo entusiasmo evaporò. Non una virgola fuori posto, ci mancherebbe. Gli stessi sampietrini tra il giallo e il bianco, la stessa atmosfera sonnolenta da siesta protratta troppo a lungo, addirittura lo stesso sole che, ok, era lo stesso per tutti, ma lì sembrava davvero essersi fermato a chissà quanti secoli prima, immortalato in quel cielo troppo azzurro senza un solo secondo di vita in più.

Non avendo niente da fare, il suo sguardo indugiò sui pochi segnali di vita disponibili.

Una sua vecchia insegnante di teatro una volta le aveva detto che chi vuole recitare deve saper cogliere le particolarità delle persone, e che quando non ha niente da fare un vero attore non fa le parole crociate, ma osserva i comportamenti della gente che ha attorno.

C'erano due tizi che non conosceva, accanto all'entrata del bar vecchio, quello che era stato venduto e non ci si era fatto niente. Erano due colossi in tuta da lavoro e stavano chiacchierando davanti ad un giornale. O per meglio dire uno, che aveva un berretto rosso con la visiera girato al contrario – e che era quello che teneva il giornale – parlava a raffica, mentre l'altro lo ascoltava passivamente, lasciando cadere lì un commento di tanto in tanto. Sembravano di buon umore, e l'unica cosa notevole che avevano era la testata del giornale: un quotidiano che lì nessuno comprava, forse nemmeno lo tenevano in edicola.

Ferma poco più in là c'era un'auto blu molto coperta di fango, anche se sembrava nuova. Non riusciva a capire se fosse vuota o no, perché quello non era esattamente un parcheggio, ma il vetro posteriore era talmente sporco che Valeria non era in grado di vedere se il guidatore ci fosse o meno.

Dopo poco si stufò e mise da parte la sua osservazione infruttuosa delle meraviglie della natura umana per dedicarsi ad applicare qualche pezzo di scotch colorato sul libro di diritto commerciale.

L'arrivo di Anna interruppe questa gradita attività.

Sua sorella correva come una matta col borsone che le sbatacchiava dietro anche se era persino un po' in anticipo, come se avesse da andare chissà dove. Entrambe erano sempre state così, quando si trattava del pattinaggio.

Valeria sorrise, consapevole che la sorella ancora non l'aveva vista, e si sistemò un po' meglio gli occhiali da sole sul naso. Allungò una mano per accendere l'auto, ma si bloccò a metà del gesto.

Valeria si era sempre considerata una persona fondamentalmente ottimista, perché così si poteva dire di una persona convinta che per fare qualsiasi cosa basti volerlo. E tutto le era sempre andato talmente bene che a volte le sembrava che la fortuna la seguisse come un palloncino legato al suo polso.

Il palloncino si sgonfiò in quel momento.

Aveva fatto poco caso al fatto che i chiacchieroni col giornale si fossero avvicinati alla fermata dell'autobus, così come non si era resa conto che la macchina blu si fosse spostata. Non fino a quel momento, quando intravide l'uomo alla guida fare un cenno agli altri due.

Il giornale finì nel cestino, Anna si voltò ma non ebbe il tempo di fare nulla. Le avevano già tappato la bocca con un fazzoletto.

Valeria vide i due uomini agguantare sua sorella e caricarla sulla macchina, e le sembrò una cosa così irreale che pensò che la fantasia le stesse giocando un brutto scherzo.

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