9. Backstage

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«Ecco gli studi.» fece Enzo, senza che ci fosse bisogno di indicarli.

Valeria si era aspettata che la sede di una televisione così importante fosse un po' più tipo quelle foto di Cinecittà di cui aveva tappezzato la camera, invece si trattava solo di un anonimo edificio con un'aria da ospedale, grande un intero isolato. Un casermone, insomma.

L'unico particolare che tradiva il suo uso era un'enorme scritta col nome dell'emittente televisiva.

Valeria non poté fare a meno di pensare che aveva sempre sognato di oltrepassare quella soglia in modo del tutto diverso.

Innanzitutto, arrivando in un bel giorno di primavera, luminoso e frizzante, non sotto quella cappa afosa e quel cielo azzurro slavato. Poi, l'edificio sarebbe stato tutto diverso: un posto da sogno, una grandissima villa in stile ottocento con un cancello in ferro battuto e un viale alberato.

Infine, lei sarebbe entrata lì come una talentuosa attrice emergente, non come un'isterica disfatta a cui avevano rapito la sorella.

«Le lenti a contatto.» le ricordò Enzo, rallentando leggermente «Ora o mai più.»

Valeria era talmente agitata che se n'era del tutto dimenticata, e se le mise con tale foga da avere l'impressione di essersi appena tirata un pugno nell'occhio.

Si guardò nello specchietto.

Al centro dei suoi occhi rossi e irritati rilucevano due iridi scure, e non per un qualche mistico brillio che veniva dalla sua anima e rendeva chiaro a tutto il mondo che era proprio una persona speciale.

No, quelle erano normalissime lacrime.

Beh, almeno collimava col personaggio della sorella distrutta.

Un guardiano annoiato fece un cenno di saluto a Enzo e si limitò a supervisionare il loro passaggio.

«Prima di fare qualsiasi cosa» disse Enzo, parcheggiando la macchina sotto una tettoia nell'ampio cortile «devo presentarti a Riccardo.»

«E chi è?»

«Oh, tutti e nessuno. É una specie di eminenza grigia della TV: tiene i contatti, sceglie i palinsesti, fiuta l'affare... questo tipo di cose. Principalmente, però, è un giornalista.»

Enzo continuò a blaterare di quello che faceva o non faceva questo Riccardo, mentre Valeria lo ascoltava con un orecchio solo «Ti ho mai detto che sei logorroico?» disse alla fine.

«Ogni volta.»

L'atrio degli studios era quanto di più ordinario ci si potesse aspettare: una specie di soggiorno con una schiera di poltroncine in pelle nera e qualche macchinetta snack-e-caffè.

Non proprio la sala d'attesa di uno studio dentistico, ma quasi.

Valeria guardò Enzo avvicinarsi al bancone di accettazione e parlare a bassa voce con l'impiegata, appoggiandosi con nonchalanche al bancone.

Non poté non notare come il suo amico si muoveva a suo agio, lì. Era un mondo con cui andava d'accordo.

Analizzò l'ambiente con rapidi sguardi, catturò il volto della segretaria e quello di un paio di tizi apparentemente sfaccendati, nel tentativo di assorbire tutto quello che poteva di quell'ambiente alieno.

Non avrebbe dovuto essere così.

Avrebbe dovuto sguazzarci come un pesce in acqua, in quel posto, avrebbe dovuto essere nata per stare lì. Cosa più importante, avrebbe dovuto risolvere la situazione, anziché perdere tempo a sentirsi a disagio.

C'era odore di disinfettante, e benché questo combinato all'aspetto esteriore dell'edificio le facesse venire in mente un ospedale, quel posto non era asettico.

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