Capitolo 3

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-Forse posso passare domani per un ultimo saluto.- riuscii a dire dopo i minuti di silenzio che avevano accompagnato i nostri passi verso il dormitorio.
-Dovrei partire da qui per le undici. Mi farebbe piacere se venissi.- ricevetti come sempre una risposta carina e pacata, che poteva far piacere ma anche dispiacere perché ero consapevole che le sue carinerie erano pura e semplice educazione.
Con un bacio sulla fronte mi salutò prima di voltarsi ed uscire dall'edificio riservato agli studenti. 
Mentre rientravo nella mia stanza mi lasciai travolgere da tutti quei pensieri che picchiettavano nella mia testolina, nonostante fosse passato molto tempo Jack aveva ancora il potere di risvegliare in me un forte interesse nei suoi confronti.
Nel mio passato si acquattava la memoria di quegli istanti che avevo vissuto in adolescenza ed ancora oggi sentivo ardere le emozioni del tempo, più  vivi che mai.
Dovevo comunque tagliare i ponti con queste mie illusioni riguardanti un uomo che restava un sogno intoccabile e concentrarmi sul presente.
Nella mia stanza sembrava non esser cambiato nulla da quando ero uscita, Kath probabilmente avrebbe dovuto essere ad un incontro del fidanzatino; mentre io mi avvicinavo al frigo bar per prendere la vaschetta del gelato che mi ero regalata dopo il primo esame.
Mi accorsi, solo quando allungai il braccio per prendere il dolce in questione, che indossavo ancora la giacca di pelle di Jack e la cosa mi fece sorridere come una sciocca mentre ne aspiravo l'inebriante odore.  
Non riuscii a togliermela, così la tenni addosso mentre mi sedevo alla scrivania insieme alla vaschetta di gelato con l'intento di rivedere alcuni argomenti per gli esami imminenti.
Quando accesi il pc non potei non provare un senso di amarezza nel ricordare che avevo cestinato una mail di Christian, senza neanche leggerne il contenuto; mi maledii mentalmente per aver agito impulsivamente come sempre.
Mi meravigliava la mia stessa incoerenza, vi erano giorni in cui seguivo unicamente i miei impulsi primordiali anche a costo di perdere la dignità ed altre volte in cui reagivo in modo talmente razionale da risultare un robot.
Mentre portavo un'altra cucchiaiata di stracciatella alla bocca iniziai a fare qualche ricerca sugli argomenti poco chiari affrontati in sociologia prima che il sonno potesse avere la meglio.

Nella notte si generarono una serie di incubi, reminiscenze minacciose che ossessionavano la mia mente e tentavano di addentare una qualche dimensione psichica.
Occhi verdi menta pieni di disprezzo che mi scrutavano facendo morire in me la speranza e riducendo il mio orgoglio in cenere.
Aprii gli occhi lentamente mentre il sole tormentava la mia vista, un forte mal di testa era l'unica traccia della lunga notte travagliata.
Quando mi voltai verso il letto di Katherine lo trovai intatto e la cosa mi fece sghignazzare, la tanto timida Ivanova aveva passato la notte con il prodigioso pugile che amava.
Tirai fuori da sotto il cuscino il mio smartphone per controllare che ore fossero e, non appena vidi illuminarsi lo schermo mostrandomi che erano le dieci e mezza, saltai dal letto come una pazza.
Mi lanciai nel bagno per lavarmi il viso mentre tentavo di far salire lungo i fianchi gli skinny jeans neri troppo aderenti.
Dopo essermi data un aspetto più che accettabile presi le chiavi della stanza, il cellulare e la giacca di Jack per poi sfrecciare come un razzo verso il parcheggio.
Con il fiato corto e lo stomaco che protestava per quello sforzo fisico mi bloccai non appena intravidi la figura dello psicoterapeuta che riponeva nel bagagliaio un borsone di media grandezza.
-Salve dottor Richards.- lo salutai non appena mi trovai a pochi passi da lui.
-Buon giorno Sophia.- cinguettò lui mentre richiudeva il bagagliaio per concedere tutta la sua attenzione a me.
La sua mascella squadrata ricoperta da una leggera barbetta e gli occhi illuminati dal sole del mattino lo rendevano ancor più giovane di quanto non fosse.
-Ieri sera ho scordato di ridarti la tua giacca.- gli porsi l'indumento non trovando nulla di più interessante da dire in un momento simile.
-Grazie.- la prese dalle mie mani facendo scontrare le nostre dita e provocandomi una leggera scossa che sentii fino alla punta dei piedi.
-Non vorrei farti ritardare la partenza..quindi..- tentai di dire estremamente imbarazzata dalla situazione.
-Si. Bene.- confermò i miei dubbi lui facendomi capire quanto fosse penosa la mia ostinazione a voler restare altro tempo con lui.
-Allora buon viaggio.- portai le mani dietro alla schiena mentre mi dondolavo sui talloni tentando di essere il meno invasiva possibile.
-Sophia..- Jack con un tono di voce troppo serio fece un passo verso di me mentre sembrava voler iniziare un discorso di rilevante importanza; quando all'improvviso il mio cellulare iniziò a squillare nella tasca posteriore dei jeans.
Riluttante lo tirai fuori per vedere chi era l'idiota che stava interrompendo la conversazione, ma il numero sul display non mi era conosciuto.
-Si. Chi è?- risposi rapidamente per impedire alla stridula suoneria di infastidire le mie orecchie.
-Brett. Senti Sophia..- rispose dall'altra parte la voce a me conosciuta.
-Ci mancavi solo tu.- sbuffai io.
Non potevo di certo non concedere il primato come miglior guastafeste a Mr. Capelli Ingellati.
-Ecco.. Kath.. è successo che ..- provò a formulare una frase che avesse senso ma sembrava risultargli impossibile e di certo non lo aiutava la voce spezzata e tremolante.
-Katherine cosa? - ringhiai facendomi subito prendere dalla rabbia e dalla preoccupazione.
-Siamo in ospedale. Lei si è fatta male ed io sono ..-
-Un coglione sei! Ecco cosa sei! - urlai io stringendo con più forza il sottile smartphone poggiato sul mio orecchio. Vedevo già nero all'idea che la mia migliore amica si trovasse in una situazione simile e l'unica emozione a cui lasciai spazio era la rabbia verso colui che aveva il compito di prendersi cura di lei e che aveva clamorosamente fallito.
-A quale ospedale siete? - chiesi mantenendo un tono di voce alto.
-South Miami Hospital.- mormorò prima che gli agganciassi.
Sentire la voce di quel ragazzo faceva solo aumentare la collera in me e non potevo sprecare le mie energie con una persona di così poco conto, perché in quel momento sapevo che tutti i miei pensieri dovevano essere rivolti a Kath.
-Cazzo!- Mi portai nelle mani nei capelli mentre scuotevo la testa incredula, dovevo correre immediatamente dalla mia amica e starle vicino, ero certa che lei avesse bisogno di me.
-Cosa è successo Sophia?- mi accorsi in quell'istante che Jack aveva assistito alla conversazione e sopratutto al mio raptus.
-Katherine è in ospedale..- spiegai mentre tentavo di mantenere la calma e di impedire alla mia voce di tremare dall'ansia.
-Oh santo cielo.-
-Devo andare ora.- decisi che nulla aveva la priorità in quel momento se non andare da lei.
-Ti ci porto io.- l'uomo dai capelli scuri tirò fuori dalla tasca dei pantaloni blu le sue chiavi e mi aprì lo sportello lasciandomi senza parole per l'ennesima volta.
-Ma tu devi tornare a Melbourne.- nonostante mi facesse comodo un passaggio e soprattutto il suo supporto non sarei mai voluta essere d'intralcio ai suoi impegni.
-Sophia ti prego di salire. Non ti lascerò in questo stato da sola.- provò a farmi ragionare con un tono pacato ma anche spazientito per le mie vane proteste.
Il sole picchiava sul parabrezza mentre la jeep sfrecciava sulla strada verso l'ospedale.
Se c'era una persona per la quale avrei fatto qualsiasi cosa, quella era la mia amica e il solo pensiero di lei in un letto di ospedale mi faceva venire la pelle d'oca; era lei la donna responsabile che doveva salvare me dai guai e non il contrario ed in quel momento mi sentivo sopraffatta da questa situazione, oltre alla forte rabbia nei confronti di colui che avrebbe dovuto prendersi cura di lei.
-Stai tranquilla.- mi rassicurò Jack lanciando una rapida occhiata nella mia direzione.
Non appena la macchina si arrestò difronte all'imponente edificio bianco scesi dall'auto e mi affrettai a raggiungere l'entrata, seguita da Richards.
-Miss Ivanova? - chiesi ad un'infermiera dietro al bancone.
-È un famigliare?- chiese la giovane donna dai capelli ossigenati e dalle unghie laccate.
-Si. Sono la sorella.- mentii tentando di mantenere uno sguardo deciso e non farmi tradire.
-Un documento?-
-Sono venuta appena ho saputo, non ho considerato l'idea che mi sarei dovuta sottoporre ad un interrogatorio.- con le mani poggiate al bancone mi sporsi verso la donna con il tentativo di farle percepire quanto fosse al limite la mia pazienza.
Scioccata ed anche infastidita dal mio atteggiamento la mia interlocutrice mi diede le informazioni che cercavo ed io mi avviai verso l'ascensore.
Accecata da tutte quelle forti emozioni non avevo considerato minimamente il fatto che al mio fianco era sempre restato il mio psicoterapeuta.
Tra le quattro mura d'acciaio vi eravamo solo io e Jack, il mio piede picchiettava a terra con impazienza e non riuscivo a calmarmi in alcun modo.
-Sophia Ivanova, placa la tua ira.- commentò l'uomo davanti a me trattenendo le risate per la scena a cui lo avevo sottoposto.
Per un istante la mia mente si alleggerì, quando vidi le sue labbra arricciarsi per impedire alle risate di avere la meglio così da non risultare insensibile.
L'ascensore si arrestò al quarto piano ed alla fine del lungo corridoio su una sedia intravidi Brett che ricurvo teneva i gomiti poggiati sulle ginocchia; partii spedita verso di lui.
-Ti do due minuti per riassumere quello che è successo ieri sera.- dissi a denti stretti dopo essermi piazzata davanti a lui.
Quando alzò la testa per mostrarmi il viso non passarono inosservate le occhiaie e gli occhi rossi, aveva un aspetto orribile ed io non lo avevo mai visto così poco curato da quando lo avevo conosciuto.
Provavo quasi pena per lui ma non abbastanza da placare la mia ira nei suoi confronti.
-Ieri sera..- iniziò lui con un tono glaciale -dopo l'incontro sono andato a cambiarmi, le ho detto di aspettarmi. Quando sono uscito...l'ho visto, un uomo che le si avvicinava e la importunava. Non ci ho visto più! Volevo spaccargli la faccia. Mi sono scaraventato contro di lui e Kath mi voleva fermare tenendomi per il braccio; non riuscivo a vedere più dalla rabbia e per staccarla da me le ho fatto perdere l'equilibrio ed è caduta sbattendo la testa.-
Potei rivivere nella mia testa la scena che mi stava descrivendo Brett, sconvolta dal racconto iniziai a tremare; se Katherine aveva battuto la testa la cosa era molto più grave di quel che avevo immaginato e non potei evitare di sentire una forte fitta al cuore.
-Ti uccido.- mi sporsi verso Hill sconnettendo completamente il cervello, non avrei mai potuto fare nulla a quel sacco di muscoli con le mie minuscole mani ma non vedevo altra valvola di sfogo per la rabbia se non strappargli i capelli.
Se la mia furia era già nata all'idea che lui non l'avesse protetta, sapere che addirittura lui era la causa dell'incidente mi fece perdere il controllo.
-Sophia. Ferma.- la mano di Jack era posta orizzontalmente davanti al mio petto, per fare da barriera tra me e Brett.
Spostai lo sguardo sull'uomo molto più alto di me, percepii il suo dissenso, ma anche comprensione ed abbandonai l'idea di aggredire il ragazzo seduto davanti a me.
Mi sedetti anche io dopo poco esasperata mentre Jack mi andò a prendere un tè, unico modo che conosceva per calmarmi.
-È solo colpa mia. Lo so.- affermò Brett quando le uniche persone nel corridoio eravamo rimaste noi due.
-Ma dai.- ironizzai anche se non era mio intento, non sentivo neanche la voglia di beffarmi di lui tanto era il dispiacere per la mia amica chiusa nella camera davanti a noi.
-Tra un ora avrei dovuto fare un esame ma non ho intenzione di lasciarla qui. È colpa mia. - le sue nocche erano bianche tanto stringeva i pugni mentre il piede picchiettava sul suolo come se da un momento all'altra sarebbe dovuto scattare e picchiare qualcuno; forse il dolore che voleva infliggere era proprio a se stesso.
-"Non essere ridicolo" Kath ti direbbe così. Vai a fare l'esame Hill.- borbottai io cosciente del fatto che era meglio per lui non trascurare un esame importante e che sarei stata meglio se lui si fosse allontanato da me.
-No.- ricevetti una risposta secca.
-Si.-
-Resto qui.-
-Sto io con lei. Tu hai fatto abbastanza. Vai a fare questo fottuto esame e non mi far perdere la pazienza.- lo avvertii mentre stringevo con forza la base della sedia in acciaio.
I suoi occhi color ghiaccio si abbassarono a quelle mie parole, atterrito si alzò superando Jack che era a pochi passi da noi e uscì per le scale.
Presi il bicchiere di carta che mi stava porgendo Jack e ne bevvi un sorso mentre provavo a rilassare il corpo che era stato sopraffatto da tensione ed ira.
-Katherine è bellissima sai..- mormorai mentre fissavo la porta, come se la potessi già vedere nella stanza davanti a me. Lei sarebbe stata perfetta anche con un brutto pigiama d'ospedale, con i biondi capelli che le incorniciavano il viso angelico.
-Non te l'ho mai presentata ed ora..- mi si ruppe in gola il proseguimento della frase che avevo in mente e lasciai che una lacrime scendesse, precipitando poi a terra.
-Mi presenterai Miss Ivanova una volta che la dimetteranno.- affermò con calma Jack poggiando una mano sul mio ginocchio in segno di conforto.
Sentigli dire questo mi poteva distogliere dall'idea che la mia amica rischiasse la vita, potevo già immaginarmela in piedi davanti a me che mi sgridava per essermi di nuovo avvicinata al famoso terapeuta per cui avevo una cotta.
-Mi ricordo che mi dicevi all'inizio del primo anno di liceo che la detestavi.- l'intento di Jack di distrarmi dalle mie preoccupazioni mi era chiaro ma probabilmente sarebbe stato meglio così, riempire l'attesa con dei racconti del passato.
-Si. Quando ho conosciuto Katherine mi era sembrata una ragazza con la puzza sotto il naso; figlia di ricconi e con quel suo sguardo di superiorità.- iniziai io a raccontare ricordandomi gli anni passati -Mi sbagliavo sul suo conto. Lei era molto meno forte di quanto volesse darlo a vedere. Un giorno dovevamo portare un progetto in coppia, mi avevano dato lei come compagna ed io ero estremamente contrariata. Quando ci incontrammo in biblioteca la trovai a sfogliare uno dei miei libri preferiti, mi ero fatta accecare dai pregiudizi senza neanche conoscerla.-
Con un salto temporale era come se potessi rivedere la giovane ragazza bionda con i capelli mossi raccolti in una treccia mentre teneva tra le mani un vecchio volume de "Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr Hyde".
-Lei ti è stata molto vicina da quel momento in poi se non ricordo male.-
-Già.- confermai io.
Portai alla bocca il bicchiere con una mano tremolante, vedere che in un momento simile il mio corpo non collaborava mi faceva perdere le staffe ancora di più.
-Ho sempre ammirato l'idea che avevi di amicizia. La descrivevi come una cosa sacra, al di sopra di tutto e ti risultava difficile rapportarti con persone che non avessero i tuoi stesi valori.- Jack poggiò la testa sul muro bianco mentre mi guardava con la coda dell'occhio attenendo una mia risposta.
-Lei è al di sopra delle aspettative.- mormorai.
-Anche tu lo sei per me...- sentii in un sussurro la sua voce, sembrava come se avesse parlato qualcuno nella mia testa e che non fosse qualcosa di reale.
Mi voltai verso il giovane uomo dai capelli neri, sbalordita da una simile confessione ed anche lusingata.
-Cosa..- provai a chiedere, ma lasciai in sospeso quella mia domanda quando dalla porta davanti a noi uscii un dottore sulla sessantina.
-Dottore.- scattai in piedi come un soldato a rapporto.
-La signorina, ha battuto la testa provocandole un trauma cranico minore, quindi a basso o medio rischio. Dobbiamo nonostante ciò monitorarla affinché non si tratti anche di emorragia intracranica.- spiegò l'uomo dai capelli bianchi mentre sistemava più volte gli occhiali sul naso e guardava la cartella clinica.
Quei paroloni mi destabilizzarono, annuii così da far capire che avevo recepito le informazioni e il dottore si allontanò lasciandomi in piedi davanti alla porta a fissare il vuoto.
Mentalmente senza accorgermene stavo pregando un Dio, neanche sapendo quale Dio, affinché Katherine si rimettesse del tutto.
-Ti prego..- mormorai io chiudendo gli occhi -Fai in modo che stia bene. -
Il braccio di Jack si avvolse attorno a me con l'intento di rassicurarmi, lasciai cadere la testa pesante sulla sua spalla ed iniziai a fare dei respiri profondi.
Una vibrazione nella tasca della sua giacca mi fece trasalire e mi staccai istintivamente per permettergli di rispondere al cellulare senza essergli d'intralcio.
-Si, mi dica.- rispose lui con un tono di voce molto autoritario -Non ancora. È proprio necessario? Ok.
La telefonata fu rapida e non colsi alcuna informazione rilevante, forse perché non avevo alcun interesse nello scoprire qualcosa, c'erano cose più importanti a tormentarmi.
-Sophia, senti. Dovrei andare per qualche minuto presso un collega che ha urgente bisogno. Ti posso lasciare qui e poi tornerò a riprenderti?- mi chiese dispiaciuto.
-Tranquillo. Starò qui con Katherine, poi prenderò l'autobus. Non ti disturbare.- mi affrettai a rassicurarlo.
-Non esiste. Appena finisco vengo a prenderti.- si impuntò lui, mi guardava seriamente e non vi era alcun modo di contraddirlo.
Non appena mi lasciò, potei entrare nella stanza dove si trovava la mia amica e starle vicino come si deve.
Subito a destra su un lettino blu si trovava Katherine con un pigiamone bianco e blu, dormiva come una bimba.
Mi accomodai su una sediolina accanto al suo capezzale mentre le lacrime si accumulavano nei miei occhi vedendola così indifesa.
-Hei, Katya..- sussurrai con voce tremante -Sono venuta a vedere come va, ero preoccupata per i dottori più che per te; chissà come li avrai terrorizzati con i tuoi sguardi glaciali...-
Mi morsi il labbro nell'intento di non farmi prendere dal pianto.
-Non pensavo che sarei mai corsa io da te in ospedale. Doveva succedere il contrario. Tu sei quella responsabile. M-ma è colpa di q-quel idiota di Hill.-
Indirizzai di nuovo la mia rabbia verso il suo fidanzato, così da distogliere l'attenzione dal peso sul petto che sentivo. Iniziai a giocherellare con uno dei bracciali che avevo al polso, più precisamente quello che lei mi aveva regalato ai miei diciotto anni.
-White, non sono in coma. Stavo solo dormendo.- mi accorsi della mancanza che avevo sentito dell'accento russo di Katherine solo quando lo risentii.
-Katya!- mi gettai su di lei per stringerla a me.
Lasciai che le lacrime trattenute scendessero silenziose mentre lei mi dava piccole pacche sulla schiena per rassicurarmi, come se fossi io quella che aveva bisogno di essere calmata.
-Quanto melodramma amica mia!- ghignò lei mentre mi staccavo e mi tamponavo le guance con il dorso della mano.
Il mio cuore era leggero finalmente e vederla scherzare con me dopo così tante preoccupazioni mi riempiva di gioia.
Capii allora che non potevo più dare  nulla per scontato, ogni attimo dovevo viverlo a pieno con lei e con ogni persona mi facesse stare bene.
Restai per più di tre ore a parlare con la mia migliore amica e a scherzare sui nostri momenti più imbarazzanti, sarei restata ancora di più ma come un temporale Brett Hill era apparso per rovinare la mia buona disposizione.
Un invito muto da parte di entrambi mi fece capire che era il momento di togliere il disturbo, così, dopo aver salutato Katherine e aver fulminato con lo sguardo il fidanzatino, uscii dall'ospedale.
Jack non si era fatto sentire da quando era andato via ed io non potevo disturbarlo oltre, non appena varcai i cancelli del South Miami Hospital cercai con lo sguardo la fermata del bus più vicina.
Un forte vento gelido mi soffio sul viso, portai istintivamente le mani al petto per alzare la cerniera della felpa mentre la mia vocina interiore mi scherniva per quel abbigliamento leggero. 
Non camminai molto prima di arrivare alla fermata, dove non vi era anima viva; ipotizzai che la mia spropositata sfortuna aveva colpito ancora facendomi perdere di poco l'autobus. "Si poteva peggio di così?"
Venne attratta la mia attenzione da un'auto che lentamente si fermava davanti alla fermata, notai tardi che si trattava di una BMW x4 di cui conoscevo già il proprietario.
-Ci mancava solo questa.!- borbottai mentre il finestrino del passeggero si abbassava. "Certo che si può di peggio" potei sentire la risposta dell'universo che si prendeva gioco di me.
Christian Miller con una camicia bianca è una giacca lunga beige mi stava osservando da dentro la sua lussuosa macchinona attendendo.
Raccolsi le ultime forze che mi erano rimaste e distolsi lo sguardo da lui per concentrarmi sulla strada e far finta che quell'autoveicolo non si trovasse davanti a me.
-Sophia, sali.- sentii la sua voce roca e profonda dopo tanto tempo e non potevo non ammettere che ne avevo sentito la mancanza.
Nonostante sapessi cosa stessero urlando gli impulsi dentro di me, decisi che non sarei caduta così in basso un'altra volta; ascoltai quello che diceva il mio orgoglio e cioè che non mi sarei schiodata da lì se non con un mezzo pubblico.

The professor 2 - Rising from the ashesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora