Capitolo 9

9K 318 16
                                    

Rientrare nella mia vecchia stanza del dormitorio mi mise una certa angoscia, soprattutto perché sapevo che Katherine non sarebbe tornata se non il giorno seguente.
Senza alcuna voglia di disfare i bagagli mi gettai sul letto e chiusi gli occhi per rilassarmi dopo il lungo viaggio in macchina.
Un susseguirsi di immagini poco chiare mi si proiettavano nella testa durante le ore in cui caddi in un sonno profondo.
Quando i miei occhi si aprirono, tornando alla realtà, con grande stupore notai di aver dormito per più di tre ore e che ormai il colore rosso fuoco del tramonto primeggiava nel cielo.
Mentre guardavo la finestra davanti al mio letto iniziai a far mente locale e sobbalzai ricordando che avrei dovuto riportare a Christian Miller il romanzo che mi aveva regalato a Natale insieme al biglietto con una frase dai molteplici significati.
Ancora assonnata decisi di gettarmi nella doccia prima di uscire ed affrontare colui che tanto mi destabilizzava.

Con una camicia a quadri e dei jeans, presi il pacchetto che tenevo sul tavolino ed uscii dal dormitorio degli studenti.
Troppo presto raggiunsi la mia meta, quando mi trovai per l'ennesima volta davanti alla porta del suo ufficio realizzai che non avevo preparato nulla da dire e che come sempre avrei improvvisando procurandomi un'altra clamorosa figura di merda.
Bussai alla porta chiusa. Nessuna risposta.
Bussai nuovamente.
Nulla.
Decisi di aprire la porta con cautela e quando la mia testa fece capolino nella stanza, non vi trovai nessuno dentro. Vittoriosa entrai con calma e mi avvicinai alla scrivania per lasciarvici sopra il romanzo.
Sentii quasi tristezza e dispiacere nel lasciare quel libro, accarezzai la copertina un ultima volta come per dirgli addio. Quel libro era stato il primo dono che Christian aveva fatto a me, solo a me.
-Dovresti tenerlo.- la voce roca alle mie spalle mi pietrificò sul posto e goffamente mi girai per incrociare gli occhi smeraldo dell'uomo a cui apparteneva l'ufficio.
Un attimo di assoluto silenzio.
L'unica cosa che sembrava parlasse erano i nostri cuori o gli occhi che brillavano alla luce del sole rossastro.
Senza dire nulla chiuse la porta del suo ufficio a chiave e rimase poggiato ad essa osservandomi.
-Non voglio nulla da parte sua.- dissi a denti stretti rendendogli palese l'ostilità che sentivo verso di lui.
-Perché?- chiese innocentemente come se fossi io la pazza tra noi due.
-Davvero me lo sta chiedendo Mr. Miller?- chiesi facendo aleggiare sulle mie labbra un sorriso amaro.
Attesi una sua risposta ma sulla sua faccia da schiaffi vi era solo un espressione curiosa, quasi confusa.
Era un ottimo attore, ammisi.
Mi voltai e presi da dentro il libro il bigliettino che lessi ad alta voce trattenendo una risata isterica.
-Ma davvero?- chiesi in fine accartocciando il cartoncino nella mano destra e lasciandolo cadere a terra con un gesto teatrale, come mio solito.
-Non ti ho mai mentito Sophia. Mai. E avrei potuto farlo.- puntualizzò lui seriamente e staccandosi dalla porta per piazzarsi davanti a me.
-E questo dovrebbe giustificare il fatto che mi hai usato come rimpiazzo?- sbottai irata.
-Non mi giustifico di nulla e non mi pento di nulla. Ma tu non sei stata solo un rimpiazzo. Eri altro..- Miller da un tono deciso passò ad uno flebile e incerto.
-Non ti voglio più sentire.- urlai catapultandomi davanti alla porta ed iniziando a maneggiare nervosamente con la chiave nella serratura per aprirla.
Iniziai a farla girare nonostante qualcosa la bloccasse con forza girai e tirai muovendo con l'altra mano la maniglia; quella lotta tra me e la serratura si concluse con metà della chiave nella mia mano e l'altra metà ancora bloccata.
-Cazzo!- imprecai continuando a muovere la maniglia.
-Così mi distruggi la porta.- borbottò dietro di me Miller.
Quello era il mio intento. Non sarei rimasta un minuto di più dentro quelle quattro mura in compagnia di un tale ipocrita e bugiardo.
-Siamo bloccati dentro ormai.- affermò lui l'ovvio.
Mi voltai furente e dopo aver posato il pezzetto di chiave su uno scaffale della libreria andai nella sua direzione mentre bruciavo di ira.
-Preferisco lussarmi la spalla per aprire questa fottuta porta piuttosto che condividere la stessa aria con te.- sibilai tra i denti.
-Non la pensavi così quando condividevi più dell'aria con me.- si avvicinò ad un palmo dal mio naso con un lampo di sarcasmo negli occhi.
-Non..- iniziai spintonandolo ad ogni mia parola e facendolo indietreggiare    -Ti. Azzardare. Stronzo. Egocentrico. Bugiardo.-
Al settimo spintone le mie mani si bloccarono a mezz'aria e la forte stretta ai polsi delle sue mani mi impedì di sfogarmi ancora.
Dopo aver incontrato il suo sguardo seccato mi divincolai cercando di staccarmi di dosso le sue mani e non mi ci volle molto per riuscirci, ringraziando Dio.
Stanca mi lasciai cadere su una delle sedie davanti alla scrivania di Miller e aspettai che si decidesse lui a fare qualcosa per farci uscire da là dentro.
Miller fece una serie di telefonate a vuoto; molti docenti erano ancora lontano dalla U.M e il personale non rispondeva al telefono delle segreterie. Ogni volta che lui riattaccava il mio stato d'animo si avvicinava sempre più alla rassegnazione ed anche Miller lasciò perdere e si lasciò cadere sulla sua poltrona.
Mentre il ticchettio dell'orologio sul muro scandiva il passare dei secondi nessun suono usciva dalle nostre bocche, fissavo l'imponente libreria cercando di decifrare i titoli dei vari libri che erano posti in modo disordinato.
Mi alzai dalla sedia istintivamente e iniziai a togliere i libri dallo scaffale all'altezza del mio mento, li posai uno ad uno sulla scrivania per poi ricollocarli con accuratezza al proprio posto, dal più grande al più piccolo.
-Cosa fai?- mi chiese la voce roca del docente che mi seguiva con lo sguardo ad ogni minimo movimento.
-Metto in ordine per ammazzate il tempo.- mormorai tenendo gli occhi sulla pila di libri che tenevo con un braccio.
-In effetti ho dei problemi con l'ordine e..-
-Non c'è bisogno di parlare. Preferisco il silenzio alle finte chiacchierate come se fossimo vecchi amici.- lo interruppi prima che continuasse il suo monologo di cui non mi importava, anzi mi irritava.
-Ok.- lo sentii dire a mezza bocca.
Con la coda dell'occhio vidi che si era messo a controllare delle scartoffie mentre il pc si stava accendendo mostrando sul desktop un immagine che mi fece provare un vuoto nello stomaco.
"La notte stellata" di Van Gogh era l'immagine che illuminava lo sfondo del suo computer. 
Poteva essere una coincidenza che avesse la stessa immagine che avevo io sul mio vecchio laptop?
Scacciai dalla mia testa quel pensiero e continuai il lavoro che avevo iniziato.
Tra le miei mani si susseguivano antologie psicologiche, libri di famosi psicoterapeuti e neurologi, enciclopedie e vecchie edizioni di famosi romanzi.
Non riuscii a trattenermi e, mentre ero seduta a terra per riordinare il ripiano più basso, iniziai a leggere qualche pagina di un vecchio libro dalla copertina in cuoio nera.
"Sporco sono, perciò faccio un tal strepito per la purezza. Nessuno canta così puramente come coloro che si trovano nel più profondo inferno. È il loro canto che scambiamo per il canto degli angeli."
Senza accorgermene stavo divorando quel piccolo libricino che veniva conservato gelosamente rispetto agli altri e non aveva neanche una piccola piega alle pagine giallastre.
Sorrisi spesso davanti alle frasi d'amore che l'autore dedicava alla sua amata, con innocenza e purezza lo manifestava nonostante in lui i demoni lo mangiassero vivo.
-Le lettere a Milena..- sentii in un bisbiglio la voce dell'uomo alla scrivania e, senza volerlo, confermai ciò che aveva detto.
Il libro in questione era una delle tante meraviglie prodotte da Kafka.
-"L'uomo torturato dai propri diavoli si vendica insensatamente contro il prossimo."- citò alcune parole del libro distrattamente mentre digitava sul pc.
Lo guardai con attenzione come se fosse la prima volta e analizzai la sua espressione, ancora tormentata e dispiaciuta, per la prima volta senza filtri ma totalmente autentica.
-Hai perso la donna che amavi..- mi ritrovai a dire guardando fuori dalla finestra il cielo ormai buio -...il dolore straziante che vivi non è comprensibile per chi non lo ha vissuto. È stato sbagliato e crudele illudermi di qualcosa di inesistente ma se mettessi da parte me stessa per un secondo potrei anche capire perché lo hai fatto.-
Lasciai che la mia coscienza parlasse senza interpellare la ragione, probabilmente guidata dalla compassione che sentivo nel vedere quanto spento era l'uomo seduto alla scrivania. Christian Miller aveva perso la luce della speranza che brilla negli occhi dell'uomo; gli avevano strappato via qualcosa di basilare per vivere.
-Non avrei mai voluto fare del male ad una persona buona come te. Toccare il fondo e restarvici per molto tempo ti fa abituare al buio. Tu sei stata il primo fascio di luce...- non mi guardava mentre parlava come anche io non avevo fatto durante la mia confessione -..ma io sono riuscito a scacciare la luce.-
Tacemmo entrambi dopo aver dato libero sfogo ai nostri pensieri e ognuno tornò al proprio lavoro senza proferire altre parole.
L'orologio segnava le undici di notte e il mio stomaco si lagnava pretendendo cibo, diventai rossa come un pomodoro quando il rumore della mia pancia si sentii in tutto l'abitacolo.
Miller si alzò dalla sua poltroncina e iniziò a frugare in un armadietto posto nei pressi della scrivania con la coda dell'occhio vidi che stava armeggiando con delle scatolette.
Mise sul tavolo delle barrette energetiche, biscotti e una bustina di patatine bio.
Lo guardai e lui con le braccia conserte spostava lo sguardo da me al tavolo aspettando.
-Purtroppo ho solo questo.- affermò alzando le spalle dispiaciuto.
Il cibo mi stava attirando come una calamita e non importava cosa fosse, la fame non sentiva ragione.
-Andrà bene questo.- mi alzai da terra e dopo essermi un po' sgranchita le gambe mi sedetti sulla poltroncina davanti alla scrivania mentre lui, dalla parte opposta, si alzò le maniche della camicia mostrando le braccia muscolose.
Presi un pacchetto di biscotti ed iniziai a divorarlo dimenticando sia il galateo sia il fatto di avere una certa dignità.
Le gocciole di cioccolato croccanti e la pasta frolla nella bocca riuscirono a placare la fame e anche il mio umore sembrò migliorare un po'.
Sentivo gli occhi di Christian Miller su di me mentre come Gollum stringevo il pacchetto tra le mani.
-Avresti dovuto dirmelo che avevi fame.- affermò con un sorriso quasi genuino e sincero, un qualcosa che non gli avevo mai visto sul volto.
-Mmm..- non seppi cosa dire, mi limitai a fare versi di approvazione mentre la bocca era ancora piena.
Dall'altra parte del tavolo lui sembrava trattenere le risate mente buttava giù un po' di patatine; immaginai che doveva essere davvero esilarante vedermi alle prese con cibo dopo ore di digiuno, spesso anche Katherine si era divertita alle mie spalle su questa cosa.
-Non ridere di me.- bofonchiai dopo aver inghiottito il boccone e aver bevuto un sorso di acqua.
-Non sto ridendo..- disse mordendosi il labbro per non tradirsi e sembrare serio -..Sei una bella visione Sophia.-
Quando l'ultima frase uscì dalla sua bocca con nonchalance e i suoi occhi seri mi penetrarono, un pezzetto di biscotto mi andò di traverso facendomi mancare l'aria.
Mi si innondarono gli occhi di lacrime e iniziai ad annaspare, in un attimo Christian fu alla mia destra con la bottiglietta d'acqua in mano mentre chino su di me mi dava leggere pacche sulla schiena.
L'acqua riuscì a far scivolare giù, finalmente, quel boccone traditore che sembrava mi avesse graffiato tutto l' esofago.
-Tutto bene?- mi chiese lui non muovendosi di un centimetro dalla sua posizione e mantenendo anche l'espressione preoccupata.
-Credo di si.- risposi guardandolo e spaventandomi per l'eccessiva vicinanza del suo viso.
Mi ritrassi velocemente sentendomi anche ridicola per il gesto affrettato e lui passò dalla preoccupazione al dispiacere.
-Mi odi.- mormorò alzandosi e aggiustando la camicia con gli occhi bassi.
-Non ti..- provai a dire bloccandolo prima che mi voltasse le spalle, facendo nuovamente prevalere la voce del rimorso.
In un attimo la mia mano non stringeva più il suo braccio ma la sua mano teneva la mia; mi guardava con i suoi occhi verdi tristi cercando di farmi capire un qualcosa ma non volevo leggere nel suo sguardo e provai a ritrarmi...ma invano.

The professor 2 - Rising from the ashesWhere stories live. Discover now