Capitolo 5

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Camminavo con la borsa in spalla verso il bar del campus, le energie perse con tutta la tensione che mi aveva provocato l'esame andavano recuperate in qualche modo.
Sul terrazzo davanti al bar molti tavoli erano occupati da studenti e docenti, mi accomodai ad un tavolo con in mano il mio cappuccino ed un cornetto.
-Sophia, quanto tempo.- non ebbi il tempo di godermi un attimo in solitudine poiché una voce femminile dietro di me attirò la mia attenzione.
-Liliane..- pronunciai il suo nome e in un istante fu davanti a me con il suo vestitino verde lungo fino al ginocchio e i lunghi capelli legati in una coda.
-Fatti salutare!- esclamò piegandosi per darmi due baci sulle guance mentre pietrificata non battevo ciglio.
-Il bacio di Giuda..- mormorai tra me e me mentre lei si accomodava sulla sedia davanti a me.
-Come?-
-Nulla nulla.- portai la tazza alle labbra mentre osservavo il sorriso compiaciuto della rossa.
Non mi era mancata la sua faccina da finta santarellina, lei mi ricordava il fallimento di quello che avevo costruito con Christian, se era possibile costruire qualcosa con una persona che mi trattava come una sostituta del suo grande amore.
-Dunque .. come va? - chiese lei poggiando i gomiti sul tavolino bianco e fissandomi.
-Bene.-
-Gli esami?-
-Idem.-
Il suo interrogatorio era assai irritante e le mie risposte secche dovevano farle recepire il messaggio, ma a quanto pareva non desisteva dallo stressarmi. Non potendola neanche guardare giocherellavo con il fazzoletto sotto cui era stato poggiato il croissant.
-La tua vita sentimentale invece?- domandò lei facendomi alzare di scatto lo sguardo.
Se fino ad allora si era mantenuta sul limite ora lo aveva clamorosamente oltrepassato, non riuscii a trattenere la frustrazione.
-Che faccia tosta. Davvero mi stai chiedendo questo?- la fulminai con lo sguardo sperando che la incenerisse all'istante.
La risposta a quella mia domanda tagliente fu una risatina estremamente stridula, trattenni il mio forte impulso di prenderla per i capelli e schiacciargli la testa sul tavolo.
-Mia cara, perché ti agiti? Infondo siamo amiche no? -
Mi stava dando il voltastomaco quella finta dolcezza che ostentava nei miei confronti, come se stesse parlando con una stupida che non sa distinguere il vero dal falso.
-Amiche noi due? - scoppiai a ridere -Preferisco la ghigliottina.-
Mi alzai dal tavolo con la borsa in spalla e mi allontanai prima che potessi fare qualcosa de sbagliato; la mattinata non stava andando di male in peggio.
Non ero solita lamentarmi o piangermi a dosso ma era chiaro come il sole che il destino avesse qualche problema con me, stava portando sul mio cammino solo cose spiacevoli.

La giornata era stata totalmente dedicata al riposo, senza accorgermene mi ero addormentata e avevo dormito per più di quattro ore; mi svegliai con un forte mal di testa come se non bastasse.
Fuori era già sera, la luce dei lampioni illuminava le stradine del campus così decisi di uscire a prendere una boccata d'aria.
Stare stesa sull'erba fresca a guardare le stelle era la cosa che mi rilassava di più al mondo, lasciarmi trascinare dallo spettacolo del cielo notturno era un modo per lasciarmi alle spalle i problemi, infondo qualsiasi mia  difficoltà sembrava insignificante di fronte all'immensità di quel mantello scuro.
-Il cielo era chiaro, straordinariamente chiaro e il luccichio di tutte le stelle pareva un unico palpito regolato da un polso comune.- citai a bassa voce le parole usate da Thomas Hardy, un omaggio allo spettacolo che ammiravo.
-Hardy dicevi che non ti era mai piaciuto..- si sedette accanto a me una persona che come sempre appariva nel momento del bisogno, un angelo custode senza ali.
-Preferivo la letteratura russa a quella inglese. Ancora te lo ricordi..- fissavo ancora il cielo e probabilmente anche Jack stava facendo la stessa cosa.
Ricordavo il giorno in cui il dottor Richards aveva dato per scontato che fossi la tipica ragazza innamorata dei romanzi di Jane Austen e di Thomas Hardy e mi aveva regalato due loro romanzi; gli avevo detto schiettamente che non ero un tipo da storielle d'amore di quel tipo e che preferivo Dostoevskij.
-Non ho rimosso neanche una parola di tutte quelle che mi hai detto da quando ci conosciamo.-
Mi alzai rapidamente scioccata da quella sua confessione, poteva essere totalmente innocente come affermazione ma a me aveva dato la sensazione di essere qualcosa di grande importanza.
-D-davvero?- balbettai io seduta a gambe incrociate accanto a lui.
-Sophia...sono molto più grande di te.- mi guardava diritto negli occhi con aria seria.
-"Molto" è un parolone. Ma ho capito. Tranquillo.- borbottai io sapendo già che voleva liquidarmi e rivedere la frase pronunciata così da privarla di ogni doppio senso.
-Ma non posso mentirti, mi sei mancata Sophia..- chiuse gli occhi e fece un profondo sospiro come se si fosse liberato di un peso che aveva portato da tempo sulla schiena.
Sbattei le palpebre sconcertata, le parole non mi uscivano e neanche il mio cervello riusciva ad elaborare un qualcosa di sensato da dire.
-Mi sei mancata..- continuò tornando a guardare le stelle che pareva gli dessero l'ispirazione su cosa dire -.. ogni volta che mi voltavo speravo di vedere te ovunque. Il tuo sorriso, la tua innocenza. Tu eri aria fresca, quando non ti ho più avuto vicino sentivo come se non soffiasse più il vento e restava solo aridità.-
Quello che mi aveva detto sembrava acqua che mi andava di traverso inaspettatamente, iniziai a tossicchiare sconvolta e allo stesso tempo compiaciuta.
Un nodo in gola mi impediva di proferire parola e i miei occhi sbarrati erano dentro quelli nocciola di Jack.
-Ti voglio bene Sophia e non voglio che le mie parole ti spaventino in alcun modo.- tentò di rassicurarmi a causa del mio silenzio, l'agitazione gliela si poteva leggere negli occhi.
-Anche io ti voglio bene..- riuscii a soffiare l'unica risposta che mi sembrava giusta in quel momento.
-Devo andare.- mi alzai frettolosamente, guardando in lontananza il dormitorio pensai di rifugiarmi nella mia tana e di scappare perché comunque non avrei potuto fare nient'altro di meglio stando vicino a lui.
-A-ah..ok.- ero già a qualche passo da lui quando sentii la sua risposta.
Mentre rientravo nella mia stanza, che precedentemente mi era sembrata claustrofobica ed ora immensamente confortevole, ripensai a cosa aveva udito le mie orecchie.
Era possibile una cosa del genere o era stata un allucinazione dettata dallo stress degli esami?
Mi avrebbe dovuto fare piacere una simile confessione invece di mettermi a disagio e farmi scappare come un topo dal gatto affamato.
Per molto tempo avevo fantasticato sul dottor Richards, era stato quasi un ossessione per un certo periodo della mia adolescenza ed ora l'unica cosa a cui pensavo era una grande sciocchezza.
"Christian." Urlava la mia voce interioare con un megafono nella mia testa confusa.
Prima che il panico avesse la meglio chiamai Katherine sperando che lei mi fosse d'aiuto ascoltandomi ed io d'aiuto a lei evitandole di cadere nella noia più totale.
-Dimmi qualcosa di interessante o il mio cervello diventerà pappa.- rispose subito ed, evitando i soliti convenevoli, tipo salutare, mi assalì.
-Jack..- iniziai una frase che era complicata da concludere.
Dopo aver riflettuto ripetei semplicemente a grandi linee la conversazione mentre d'altra parte aleggiava un silenzio di tomba.
-Kath, ci sei?- chiesi dopo aver atteso a lungo un suo commento.
-O moi bog..- mormorò in russo.
-Che?-
-Oh mio Dio. E tu? -
-Io me ne sono andata..- il volume della mia voce scemò fino a divenire un sussurro.
-Ma sei stupida?- mi urlò contro lei -Praticamente tu mi hai torturato per più di due anni sul fatto che morivi dietro al dottorino ed ora cosa fai? - urlò costringendomi ad allontanare il telefono dall'orecchio prima che potessi perdere l'udito del tutto.
-Pensavo a..- provai a spiegarle, di dirle qualcosa affinché lei potesse comprendere il mio stato d'animo.
-A Miller?!- alzò di qualche ottava il tono minaccioso.
-Potresti non urlare?- cercai di imporre la mia volontà alzando anche io la voce.
-Se lo dico ad alta voce magari di entra in testa quanto sia assurda questa situazione.- spiegò con calma. La quiete dopo la tempesta.
Cambiai argomento e la convinsi che ero troppo occupata a pensare all'università per dare spazio agli uomini nella mia testa; era impossibile continuare quella discussione e farle comprendere.

Riuscii a svegliarmi tardissimo e quando vidi che l'orologio, che avevo lasciato al polso la sera prima, segnava mezzogiorno saltai dal letto.
Sarei dovuta essere in meno di mezz'ora all'ospedale per prendere Katherine visto che il caro Brett aveva un importante esame.
Non appena fui fuori dal dormitorio e camminai di fronte alla segreteria dove mi blocco una ragazza dalla carnagione scura e dai capelli neri.
-Scusa. Mi potresti aiutare ad arrivare in questa aula? - chiese tenendo in mano un foglietto accartocciato.
La guardai per un istante e capii che sarebbe stato scortese dirle di no, in fondo anche io quando avevo avuto bisogno di un aiuto avevo trovato persone disponibili alla U.M.
-Certo.- lessi sul foglio e capii subito che era un aula della facoltà di legge.
Camminai accanto a lei cercando di fare una conversazione molto superficiale così da eliminare il silenzio imbarazzante che c'è di solito in questi casi.
Arrivammo davanti alla porta che era semi aperta e lessi sul cartello accanto ad essa il corso che si seguiva.
"Filosofia del diritto".
Quando aprii la porta alla ragazza per farla entrare, mentre lei con un grande sorriso mi ringraziava, vidi Christian Miller nella sua camicia blu intento a disegnare alla lavagna uno schema.
Fu un attimo quello in cui si voltò e mi vide in piedi a pochi passi da lui, sulla soglia; incontrare i suoi occhi mi mozzò il fiato e per l'ennesima volta il cuore palpitava.
La fronte corrucciata di lui, data dalla concentrazione, si rilassò per regalarmi un sorriso innocente che stonava con la situazione che in realtà c'era tra noi due.
-Miss White.- mi richiamò facendo voltare tutti i suoi studenti nella mia direzione.
La sua voce roca e gli occhi di tutti puntati su di me mi fece prendere fuoco alle guance.
-Mr. Miller.- feci un cenno lieve con il capo.
-Come posso aiutarla?- il tono eccessivamente dolce mi fece accapponare la pelle, totale falsità era quello che percepivo.
-Ha aiutato lei me per arrivare qui.- prima che potessi parlare la ragazza che mi era vicino rispose al docente attirando l'attenzione di lui.
-Buona giornata.- esclamai guardando la classe e non più lui prima di scomparire.
Corsi via prima che mi facessi trascinare dalla mia voglia di entrare in quella classe e scaraventare contro di lui i banchi e le sedie.
-Quanta falsità cazzo.- mormorai tra me e me a denti stretti mentre mi avviavo verso la mia meta iniziale.

The professor 2 - Rising from the ashesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora