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Uno schianto ovattato lo fece sussultare. Aprì gli occhi e iniziò a tremare. Il buio avvolgeva la stanza come un drappo funebre. Guardò fuori della finestra e vide un pallido quarto di luna, sottile come un sorriso.
Si alzò e sedere e tese l'udito. Tonfi. Lenti. Sulle scale. Qualcuno di sotto, ma non poteva trattarsi di un ladro. Qualsiasi topo d'appartamenti con un minimo di buon senso avrebbe capito che in quella bicocca non c'era nulla che valesse la pena rubare, a parte forse la Tv.

I tonfi si fermarono dietro la porta della stanza da letto. La serratura scattò. La porta si aprì con un cigolio. Sulla soglia c'era una sagoma nera. Grossa. Aveva occhi rossi come i fanalini di coda di un'auto. La luce sanguigna pulsava.

La sagoma si chinò per entrare, mise piede nella stanza e si fermò ai piedi del letto. Doveva essere alta almeno due metri. Hunter fu costretto a sollevare il mento per guardarla negli occhi.

Quel gigantesco uomo nero si chinò, allungando il busto in modo innaturale, e il suo volto privo di lineamenti arrivò a uno spunto da quello di Hunter. Il bagliore degli occhi crebbe di intensità, e in quelle fucine infernali Hunter vide una schiera di piccoli esseri umani, circondata da un anello di fuoco, che si contorceva.

Solo guardando con più attenzione si rese conto che avevano tutti la sua faccia.

«Hai fatto fuori il tuo vecchio», disse l'uomo nero.

Hunter tremò all'udire quella voce. Sembrava giungere dalle profondità di un crepaccio.

«Ora lui farà fuori te.»

L'uomo nero arretrò e si rintanò in un angolo, accanto alla porta. Restò lì, a fissare Hunter, mentre dal buio oltre la soglia emergeva qualcosa. Vide una seconda sagoma prendere forma in corridoio, e anche se non aveva lineamenti, Hunter capì subito di chi si trattasse.

Era il suo vecchio.

Era largo come il materasso sul quale Hunter sedeva, e aveva occhi giallo urina.

Entrò nella stanza come una furia, facendo tremare il pavimento. Hunter si lanciò giù dal letto e provò ad aprire la finestra per uscire sulla tettoia, ma Joe Grimes lo afferrò da dietro e lo spedì a pulire il pavimento. Gli fu sopra in un lampo e gli puntò addosso gli occhi itterici. Lentamente, i lineamenti pesanti del suo vecchio emersero da quella sagoma che sembrava una bambola di carta ritagliata da un foglio nero: il naso camuso, le guance rubizze, il doppio mento, le labbra carnose, la fronte alta, larga e ricca di pieghe.

«Mi hai fatto un bel buco», disse Joe Grimes. «E io che pensavo di aver cresciuto una fichetta.»

Le lune itteriche che fissavano Hunter presero a pulsare.

«Permettimi di restituirti il favore, figliolo

Joe Grimes sollevò un braccio, aprì la mano e piegò le dita ad artiglio. Gli occhi si illuminarono. Le dita si assottigliarono fino a raggiungere le dimensioni di rametti rachitici, si allungarono di diversi centimetri e si amalgamarono le une alle altre, trasformandosi in un blocco unico, dall'estremità appuntita.

Joe Grimes esibì il suo più accattivante sorriso. Aveva denti spessi come pietre tombali.

La mano aliena calò rapida. La punta si conficcò nel petto magro di Hunter. Joe Grimes iniziò a disegnare viottoli tremolanti sul petto di suo figlio. Hunter guardò in basso e vide che, quando la punta di quell'arto alieno solcava il suo petto, diventava rovente. Sentiva il calore che quel punteruolo sprigionava, e poteva vederne la punta, luminosa come il culo una lucciola. Hunter sentiva il petto ardere. Urlò. Joe Grimes rise. Un verso simile a un rantolo.

«Porta pazienza, ho quasi fatto», disse.

Il punteruolo si mosse rapido e tracciò un altro paio di viuzze. Hunter guaì. La punta avvampò e si oscurò.
Joe Grimes ritirò l'arnese, che si scompose in un groviglio di lacci e si ricompattò in una mano. Joe Grimes rimirò la sua incisione. Era soddisfatto come un marmocchio dopo uno scherzo ben architettato.

«E ora il gran finale», disse.

Poi anche lui iniziò a cambiare. Si gonfiò come se qualcuno gli avesse ficcato un compressore nel culo e avesse aperto la valvola dell'aria. Hunter udì un suono simile a quello di un pesante tendaggio strappato di botto. Joe Grimes si afflosciò come un pallone sgonfio e alle sue spalle emerse una creatura gigantesca, più alta dell'uomo nero. Aveva gli occhi di Joe Grimes e le fattezze di un incubo alla Goya. Era magra e ricurva. Le braccia erano ossute, le dita delle mani affilate come coltelli. Le punte emanavano un fioco bagliore.

La creatura spalancò le braccia. La luminosità nella stanza aumentò quel tanto da consentire ad Hunter di vedere cosa avesse di fronte. Era un essere dai tratti spigolosi, nudo, la pelle del colore di una pergamena vecchia di secoli, e con un occhio al posto dell'ombelico. Era talmente magro che le costole premevano contro la pelle.

L'occhio scrutò Hunter. L'iride e la sclera si annerirono come un'eclissi, l'occhio si trasformò per un attimo in una bocca irta di denti e diventò un vortice nero. Dalle profondità del vortice emerse il volto di un ragazzino. Hunter non l'aveva mai visto, ma una voce interiore lo informò che stava guardando il suo vecchio all'età di dodici o tredici anni. Il piccolo Joe sbirciò fuori dal buco nella pancia della creatura e fissò Hunter.

«Qui dentro è uno sballo totale», disse. Si sporse e afferrò Hunter per la maglia. «Vieni a dare un'occhiata, se non mi credi.»

Lo strattonò. Hunter si sentì sollevare, e prima che se ne rendesse conto precipitava nel buio, col piccolo Joe al suo fianco che sghignazzava come un ebete. Atterrò su una specie di pallone di gomma, rimbalzò e ricadde. Si guardò intorno e si rese conto che non era un pallone: era un fottuto deserto di gomma, di un colore che sfumava nel rosa pallido, con dell'erba di strana consistenza. Hunter non ne aveva mai vista di simile. Erano steli neri, irti come aculei di porcospino. Ne toccò uno e ritrasse la mano, schifato.

Si alzò e si guardò in giro. Quel deserto sembrava estendersi per miglia. Mentre cercava di orientarsi, la gomma sotto i piedi vibrò, e all'orizzonte emerse una massa scura, sotto la quale si estendeva un pianeta simile al suo deserto di gomma, ma scavato da profonde trincee. Poi apparvero due occhi enormi come lune, un grosso naso bitorzoluto e la bocca di un gigante.

Era il gigantesco faccione di Joe Grimes che, come un sole, sorgeva all'orizzonte. E Hunter comprese che quello che gli vibrava sotto i piedi non era un deserto, ma il nudo trippone del suo vecchio.

«Ciao, fighetta», lo salutò Joe Grimes.

Spalancò le labbra e ruttò. Un fetido tifone si abbatté su Hunter, che volò via come la casa di Dorothy Gale. E mentre volava, vide delinearsi sotto di sé il suo vecchio. Joe Grimes era nudo, le palle al vento grosse come pianeti, la pancia come la collina più grande del mondo. Era peggio che osceno. Aveva un buco, accanto al cratere che era l'ombelico, dal quale sgorgava un fiume rosso.

«Ci vediamo all'inferno, fighetta ciucciacazzi», disse Joe Grimes.

Rise come un orco, e la sua risata riempì il mondo.

Hunter continuò a sentirla anche dopo che il suo vecchio divenne un pallido puntino in un oceano di tenebra.

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