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Qualcuno bussava alla porta. Hunter si stropicciò gli occhi e mise i piedi in terra. Guardò fuori della finestra. Il cielo si andava schiarendo. Fece le scale e si fermò a due passi dalla porta. Vide un paio di spalle enormi e una testa come un pianeta oltre la tendina bianca.

«Eddai Schizzo, non ho tutto il giorno», fece Vince.

Hunter aprì.

«Ti sei deciso», disse il biker, sulla soglia.

«Che ore sono?» chiese Hunter, la voce impastata.

«Per te è l'alba, per me è quasi ora di andare a nanna. Prima, però, devo scaricare 'sta roba.»

Hunter si accorse del borsone ai piedi di Vince. Il biker lo raccolse ed entrò. Hunter si fece da parte per farlo passare.

«Non disturbarti, conosco la strada», fece Vince, e andò di sopra.

Hunter chiuse la porta e andò in cucina. Aprì lo sportello del frigo e trovò il deserto dei Tartari. Chiuse, raggiunse il lavandino, fece scorrere l'acqua e bevve. Non era champagne ma neanche distillato di merda. Diciamo una via di mezzo tra i due.

Sentì Vince muoversi al piano di sopra. Chissà che cazzo stava combinando. Dopo un po' lo sentì scendere e uscì in corridoio. Vince non aveva più il borsone con sé.

«Tutto sistemato», disse ad Hunter. «Vado a schiacciare un pisolino.»

Raggiunse la porta, la aprì e, mentre usciva, si fermò. Si voltò e disse ad Hunter: «Bowie ha deciso di promuovere Roy. In mattinata gli diamo la nuova divisa. Ti va di passare?»

«Okay», fece Hunter.

«Grandioso», disse Vince, e si congedò con un ghigno dei suoi, anche se un po' fiacco rispetto al solito.

Hunter lo udì scendere i gradini e, quando la Harley ruggì, gli tornò in mente il sogno che aveva fatto. Una strana euforia, figlia di quella provata la notte prima, mise il naso fuori dalla tana.

Tornò di sopra e, con il sogno che gli vorticava nel cervello come un uccello che ha perso l'orientamento, si mise a letto e si addormentò. Quando si svegliò, tre ore più tardi, lo stomaco brontolava. Decise di uscire, ma prima si cambiò i vestiti. Indossava ancora la maglia strappata del giorno prima. Fece anche una tappa al cesso per controllare la ferita. Aveva un aspetto di merda, ma non troppo. La bagnò con un po' di tintura di iodio e se la fasciò. Alla fine sembrava una mummia bendata – male – per un quarto. Indossò una maglia pulita e uscì.

Il cielo era di un azzurro che faceva male agli occhi, e il sole splendeva fulgido come l'anima di Dio.

Hunter serrò la porta, si ficcò la chiave in tasca e si incamminò lungo la Glover. Aveva una fame d'inferno e le tasche vuote come una tomba il giorno del Giudizio Universale. Doveva farsi venire in mente qualcosa. Lo sfiorò il pensiero di recarsi al Little Bitch, ma l'ultima cosa che voleva era mendicare un tozzo di pane. No, doveva cavarsela da solo. Come faceva il Piccolo Cacciatore.

Svoltò su Main Street e si diresse verso lo spaccio di Pete Johnson. Non aveva voglia di rimettere il naso lì dentro, ma non c'era granché scelta. In quel buco di culo di città, lo spaccio di Johnson era come un'oasi in mezzo al deserto. Buttò un occhio al Torton's Antiquary e non vide in agguato il vecchio. Si decise allora a mettere il naso oltre la soglia dello spaccio. Pete era dietro la cassa, seduto a leggere il giornale. Ogni tanto alzava lo sguardo, dava un'occhiata in giro e lo riportava sulla carta.

Quando Hunter entrò, Pete sollevò la testa, lo vide, e una valanga di emozioni gli passò sul volto. Si irrigidì, abbassò lo sguardo e finse di leggere il giornale. Hunter lo degnò di un'occhiata veloce e sparì fra gli scaffali.

Death's AngelsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora