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Gli Skulls erano un club leggendario. Tanto per capirci, quando Bowie era ancora un marmocchio che poppava latte dal capezzolo di sua madre, gli Skulls avevano già all'attivo parecchie scorribande, e si erano lasciati alle spalle una scia di cadaveri lunga quanto la fedina penale di Al Capone. Il fondatore era un certo Jim Fortune, nome che evocava ricordi ancora nitidi nelle menti degli abitanti di Silver Town. Molti rimpiangevano la sua prematura scomparsa – tra questi non c'era Paul Harrigan, ex capo della polizia al tempo in cui Jim Fortune scorrazzava con la sua banda di cani rabbiosi – e qualcuno di questi aveva premura di lasciare fiori freschi sulla sua tomba. Harrigan ci avrebbe volentieri cacato su quei fiori, prima che sulla lapide, se non avesse avuto problemi di stitichezza.

Le storie che giravano sul conto di Jim Fortune erano quelle che avresti trovato in un poema epico. Se chiedevi a qualcuno dei vecchi membri del club – eri fortunato a trovarne uno in circolazione. Facevano dentro e fuori dal penitenziario statale, e quelli che non erano in gattabuia erano a pochi lotti di distanza da Jim Fortune – ti avrebbe detto che Jim Fortune galleggiava a mezz'aria e vedeva attraverso i muri come Superman.

Molte di queste storie si trasformarono in leggende quando Fortune il Fottuto – come lo chiamavano quelli che lo rispettavano e temevano – andò al Creatore. I suoi compari continuavano a tenerle vive. E se qualcuno osava mettere in dubbio la veridicità di una sola parola, si beccava una buona dose di calci in culo.

Dopo Jim Fortune non ci fu nessuno in grado di tenere le redini del club, e gli Skulls andarono alla deriva.

Poi arrivò Lonnie Parker.

L'avevano appena buttato fuori dall'esercito, e la lancetta del suo termostato interiore puntava sul rosso. Quando Dee Layman – l'allora numero uno degli Skulls – lo mise alla prova, restò impressionato. Quel ragazzo dal fisico asciutto e gli occhi come bruciature di sigaretta era un diavolo, e scazzottava come Ali.

Il giorno che si cucì i gradi sul petto, gli Skulls rialzarono la testa. Parker aveva palle e ambizioni egualmente grosse. Ed era scrupoloso. Il diavolo sta nei dettagli, recita un detto popolare. Quando preparava una rappresaglia od ordiva uno dei suoi piani criminali non lasciava nulla al caso. Spesso restava su tutta notte, nella sua stanza sul retro della sala biliardo che era il covo degli Skulls, a ricontrollare che ogni tassello si incastrasse alla perfezione. La sala biliardo era su Bridge Street. Non c'era insegna sopra l'entrata, e se non eri del posto non potevi sapere cosa si nascondesse dietro quell'anonima porta. Bowie e compagni non erano mai stati a Silver Town, ma sapevano che quella cittadina situata diverse miglia a sud di Louisville era la culla degli Skulls.

Decisero di fermarsi in uno sputo di città poco lontano per fare il punto della situazione.

«Sapete cosa fare», disse Bowie ai suoi. «E dobbiamo farlo in fretta, prima che gli sbirri ci piombino addosso.»

Erano fermi al centro di una strada polverosa, e Hunter si era allontanato un attimo per pisciare.

«Col ragazzo come la mettiamo?» chiese Vince. «So che decidi tu, ma non credi...»

«Lo molliamo qui», rispose Bowie. «Sarà tutto finito prima che ci raggiunga. Ammesso che ci riesca.»

«Mi pare una buona idea.» Bowie lo guardò storto. «Come tutte le tue idee», si affrettò ad aggiungere Vince.

«Muoviamo il culo.»

Schizzarono via. Quando Hunter sentì il rombo dei motori era dietro un albero e stava tirandosi su la patta. Fece capolino e vide i ragazzi allontanarsi a gran velocità.

«Ma che cazzo...»

Sulle prime rimase di stucco, poi andò in strada. Si fermò al centro di quella lingua morta e ci restò finché il ruggito dei motori non diventò un brontolio lontano. Non riusciva a crederci. L'avevano mollato lì come uno stronzo. Restò a fissare l'orizzonte, imbambolato, e si riebbe quando un'oca gigantesca starnazzò alle sue spalle. Si voltò e vide il muso di un pick-up. Il tizio pelato alla guida strombazzò il clacson dando voce all'oca intrappolata sotto il cofano. Vide che Hunter non schiodava e tirò fuori la testa dal finestrino.

«E levati dal cazzo!» abbaiò.

Hunter tirò fuori la pistola. Il pelato impallidì.

«Ehi... che cazzo ti dice il cervello?»

«Mi serve uno strappo», disse Hunter.

«Che?»

Hunter aggirò il muso del pick-up e si piazzò dal lato del conducente. Il tizio ritirò la testa all'interno dell'abitacolo. Guardò la pistola e il foro della canna gli parve grande come l'ingresso di una caverna.

«Dammi uno strappo e forse non ti faccio un buco in fronte», disse Hunter.

Il tizio indicò il retro del pick-up col pollice.

«Metti le mani fuori dal finestrino e lasciale in vista.»

Il pelato obbedì. Hunter si spostò verso il pianale. Gettò un'occhiata rapida al pelato, si infilò la pistola nella cinta, afferrò il bordo del pianale, mise un piede sulla ruota del pick-up e si tirò su. Saltò sul pianale, tirò fuori la pistola e la puntò contro il vetro che lo separava dall'abitacolo.

«Parti», disse.

Il pelato mise le mani sul volante, gettò un'occhiata dallo specchietto retrovisore e partì.

«Continua su questa strada», disse Hunter.

«E poi?» chiese il pelato.

Hunter ci pensò su. «Cosa c'è in fondo?»

«La statale.»

«E dopo?»

«Silver Town.»

«Vai lì.»

Il tizio accelerò. «Dovevo dar retta al mio oroscopo e starmene a casa», sbuffò.

Death's AngelsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora