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Joey raccontò a Bowie quello che era successo nel bar sulla Pritchard. Non sapeva se i tizi nei quali si era imbattuto erano Skulls – «Non ho avuto il tempo di controllargli i tatuaggi. Ero troppo impegnato a cercare di non farmi sbudellare», disse a Bowie – ma se così era, poteva darsi che a Parker fosse già arrivata voce che qualcuno aveva pestato uno dei suoi. Magari era stato quel Bob a riferirglielo, dopo essere schizzato via. E se ancora Parker non sapeva, presto qualcuno l'avrebbe informato, per cui dovevano darsi una mossa.

Vince si era fatto un giro e aveva individuato il covo. Aveva percorso tutta Bridge Street ed era incappato in un locale con un anonimo ingresso, davanti al quale erano parcheggiate diverse moto. Si era appostato e, dopo una lunga attesa, aveva visto un tizio con un gilet di jeans che usciva e inforcava una delle moto posteggiate sotto un lampione. Sul retro del gilet c'era schiaffato un teschio con un pugnale per lingua.

I ragazzi inforcarono le moto. Avevano aggiunto le tracolle ai fucili mitragliatori e li tenevano agganciati alla schiena come la faretra di un arciere. Vince teneva il borsone con le granate. Bowie li guardò uno per uno. Sui volti barbuti vide tensione ma non paura. Erano pronti a morire.

Bowie avviò il motore della sua Harley, una Fat Boy Screamin' Eagle con aerografie di teschi ghignanti e fiamme. I ragazzi lo imitarono. Fecero ruggire i motori e fu come se un branco di tigri si preparasse alla guerra. Bowie schiacciò il freno, accelerò e girò la moto disegnando una ciambella sul cemento. Sgasò come per lanciare un monito ai ragazzi e partì.

Su una strada secondaria e a quell'ora poco trafficata di Silver Town, gli Angels sfilarono in formazione.

Death's AngelsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora