11.

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Il capo della polizia di Louisville arrivò qualche minuto dopo le 11.00, a bordo di un'auto anonima. Una porcilaia in incognito, come la chiamò Vince. Era solo e non indossava l'uniforme.

«Ha tutta l'aria di una visita di cortesia», fece Joey quando lo vide smontare.

«Solo fumo negli occhi», disse Bowie. «Tenete le antenne dritte.»

McKenzie si tirò su i calzoni, si abbottonò la giacca ed entrò.

«Buongiorno», esordì.

«La pistola ti fa il bozzo sotto l'ascella», disse Bowie.

McKenzie abbassò lo sguardo ed esibì un sorrisetto. «Lo farò presente al mio sarto.»

«Che cazzo vuoi?»

«Fare due chiacchiere.»

«E di che vuoi parlare? Motori? Figa?»

«Magari dopo, mentre ci beviamo una birra. Prima vorrei sapere se avete qualche informazione su quello che è successo ieri dalle parti di Hanging Road.»

«Perché, che è successo ieri dalle parti di Hanging Road?» chiese Bowie.

McKenzie lo fissò a lungo, le mani nelle tasche dei pantaloni kaki perfettamente stirati. Bowie non mosse un muscolo neanche per sbaglio.

«Dove eravate ieri sera?»

«Era una bella serata e ci siamo detti: perché non ce ne andiamo su a Prospect Hill, a guardare le stelle e a menarcelo?»

I ragazzi grugnirono. McKenzie restò imperturbabile.

«A me sarebbe bastata la parte delle stelle, ma già che c'ero...» disse Vince.

«È stata un'idea di Vince. Le stelle, non il menarcelo. Si è fissato e non c'è verso di smuoverlo. Racconta un po', Vince», lo incalzò Bowie.

«Sono un fanatico di astrologia», fece Vince.

«Astronomia, cazzone», lo corresse Joey.

«Già, quella roba lì. E sulla Prospect c'è una vista che farebbe venire nelle mutande un bacucco.»

McKenzie aprì la giacca e infilò una mano nella tasca interna. Prese un pacchetto di sigarette, ne sfilò una e se la ficcò tra le labbra.

«Qui dentro è vietato fumare», fece Bowie.

«Fammi causa», rispose McKenzie.

Si cavò dalla tasca l'accendino e accese la sigaretta. «Quel furgone di fuori?» chiese.

«È di Matt Wilkes», rispose Bowie. «La moto di Moses ha tirato le cuoia, e ho chiesto a Matt di prestarmi il furgone per riportala alla base.»

«Allora mi sa che farò una capatina da Matt, più tardi. Giusto per controllare che non mi stai rifilando un fracco di cazzate», disse McKenzie con un sorrisetto.

Bowie tenne salda la sua espressione da sfinge. McKenzie tirò una boccata, fece piovere la cenere in terra e guardò Bowie con aria di sfida. Il gigante non fece una piega.

«Quindi siete stati su a Prospect Hill, a guardare le stelle e a menarvi a vicenda il lombrico», disse McKenzie. «E dopo?»

«Qui al bar», rispose Bowie.

«D'accordo», fece McKenzie.

Buttò a terra la sigaretta e ci calcò sopra il tacco della scarpa. Lo fece con la calma di un bradipo in una giornata calda, fissando Bowie. Il gigante non gli diede soddisfazione.

«Tanto per chiarire», disse McKenzie, «se scopro che mi hai raccontato una sola cazzata, torno qui con un paio di amici, e stai sicuro che non ti piacerà avermi tra i coglioni.»

«Dovresti smetterla di riciclare battute da vecchi film di gangster», fece Bowie.

McKenzie sputò in terra, girò i tacchi e uscì. I ragazzi lo guardarono montare in auto e allontanarsi.

«Vince, dobbiamo spostare i cani», disse Bowie.

«Perché?» domandò Vince.

«Perché ho la sensazione che dopo aver parlato col re dei coglioni, quel figlio di puttana di McKenzie tornerà qui a ficcare il naso.»

«E dove li sbarco?»

«A casa del ragazzo.»

Vince si alzò. «Andiamo», disse a Gus e Ziggy.

I due Angels lo seguirono mentre infilava il corridoio in fondo al locale. Uscirono nel piazzale sul retro e andarono al recinto dei cani. Vince sollevò la saracinesca e i cani agitarono le orecchie. Mouser ringhiò, vide Vince e scodinzolò. Si avvicinò alle maglie del recinto. Vince ci infilò dentro le dita e lasciò che Mouser le annusasse.

Gus e Ziggy si avvicinarono alla rastrelliera sul muro, dove erano appesi diversi collari. Li prese e ne passò uno a Vince. Quest'ultimo rimosse la sicura, aprì la porticina e si infilò dentro facendo attenzione a non lasciar uscire Mouser. Si chinò e gli mise il collare. Gus gli passò il resto dei collari e Vince li mise agli altri cinque cani che condividevano il recinto con Mouser. Alla fine, prese le catene e li radunò davanti a sé. Guardò Gus e Ziggy e ghignò.

«Piantala di fare il coglione e muovi il culo», fece Gus.

Ziggy aprì la porticina del recinto e Vince gli passò due guinzagli. Poi ne passò altri due a Gus. Uscirono e infilarono il vicolo che dava sul piazzale. Aprirono la portiera sul retro del furgone, fecero salire i cani e richiusero. Vince montò alla guida, Ziggy e Gus inforcarono le moto. Partirono, presero la Main Street e svoltarono su Glover Street. Si fermarono nel piccolo prato spelacchiato e smontarono.

«Che cesso di posto», fece Gus.

«Sicuro che non viene giù con una scorreggia?» disse Ziggy.

«Ne hai appena fatte un fracco ed è ancora in piedi, no?» disse Vince.

Salì i gradini del portico e bussò. Hunter aprì.

«Ho della roba da scaricare», fece Vince.

Si voltò verso i ragazzi e gli fece segno. Gus e Ziggy aprirono il portello posteriore e fecero scendere i cani. Tre guinzagli per uno, li portarono in casa sotto gli occhi allibiti di Hunter.

«Che cazzo...» fece Hunter. «Mica è questa la roba di cui parlavi?»

«Proprio», fece Vince.

I cani iniziarono ad annusare in giro. Mouser diede un'annusata ad Hunter, lo guardò e scodinzolò.

«Gli vai a genio», disse Gus.

«Portateli di sopra», disse Vince. «Prima porta a sinistra.»

Gus e Ziggy si avviarono. I cani, Mouser al comando, esplorarono gli scalini mentre salivano. Li mollarono nella stanza da letto di Joe Grimes senza toglier loro i collari.

«Non fate casino», disse Ziggy, e chiuse la porta.

Tornarono di sotto, dove Hunter e Vince stavano parlando.

«È solo per oggi», stava dicendo Vince. «Torniamo domani e li portiamo via.»

Allungò un buffetto ad Hunter e strizzò l'occhio. Fece un cenno a Gus e Ziggy e se ne andarono. Hunter restò ad ascoltare i rumori che provenivano dal piano di sopra: tonfi appena udibili e qualche ringhio sommesso. Si recò di sopra e accostò l'orecchio alla porta della stanza da letto. Sentì il ritmico zampettare dei cani, le unghie che ticchettavano sulle assi, poi un gemere di molle. Uno di quei bastardi doveva essere saltato sul letto. Si chinò e spiò dal buco della serratura. Vide il culo di un cane che stava sotto la finestra. Tra le zampe posteriori gli pendevano due palle grosse come mappamondi.

Un muso canino entrò nel campo visivo e si incollò alle palle del pulcioso. Le annusò, ma il suo compare a quattro zampe reagì attaccandolo. Hunter si alzò. L'idea di entrare l'aveva sfiorato, ma ora non era più tanto sicuro.

Se ne tornò di sotto e si disse che, per quel che gliene fregava, quei sacchi di pulci potevano ammazzarsi, sfasciargli la stanza e cacarsi addosso a vicenda.

Lui non avrebbe fatto un cazzo per impedirglielo.

Death's AngelsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora