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I tonfi erano reali quanto il materasso sul quale dormiva. Il resto era pura fantasia, frutto di una mente travolta da eventi troppo complessi da gestire. Il suo cervello aveva digerito quel gran casino creando un incubo dai contorni morbosi. Joey avrebbe detto che il cervello aveva cacato via la merda che lo incasinava.

Hunter aprì gli occhi e guardò fuori della finestra. L'ultimo scampolo di luce andava morendo. Vide il quarto di luna che campeggiava nel cielo e si sollevò a sedere. Un senso di vertigine, assimilabile a un déjà vu, gli fece perdere contatto con la realtà per un secondo. Si riebbe quando la porta si aprì con un mesto cigolio e sulla soglia apparve una sagoma nera, alta e larga.

Era il suo vecchio. Era tornato dall'oltretomba.

«Schizzo, sei sveglio?» domandò una voce.

Hunter si accorse che non somigliava a quella del suo vecchio. Dopo un momento la riconobbe. Apparteneva a Vince.

«Sì», rispose Hunter.

Gli tremava la voce. Si augurò che Vince non se ne accorgesse.

«Passavo da queste parti e mi sono detto: forse Schizzo ha voglia di mandare giù un boccone. Abbiamo messo su il barbecue. Costolette alte così e salsicce come le gambe della donna cannone. Da leccarsi i lobi delle orecchie. Sei dei nostri?»

Hunter considerò l'offerta, ricordò che il frigorifero era più vuoto della tomba di Cristo a Pasqua, e rispose: «Ci puoi scommettere il culo.»

Mise piede a terra e raggiunse Vince, che ridacchiava sulla soglia.

«Come hai fatto a entrare?» chiese Hunter mentre scendevano.

«Non è che casa tua è proprio il caveau di una banca. Quella serratura, poi, basta guardarla storto per scassinarla.»

Hunter afferrò il pomello dell'ingresso.

«Un secondo», fece Vince.

Hunter mollò il pomello, si voltò e vide il biker sparire in cucina. Quando tornò, aveva sottobraccio la confezione di Budweiser.

«Possiamo andare», disse Vince, fermandosi accanto ad Hunter e rivolgendogli uno dei suoi ghigni brevettati.

Hunter aprì la porta, recuperò la chiave dal gancio attaccato al muro e uscì seguito dal biker. Mentre il biker scendeva i gradini fischiettando e raggiungeva la moto parcheggiata più in là, Hunter infilò la chiave nella toppa e chiuse la porta.

Non che servisse granché. Se Vince l'aveva scassinata, poteva farlo chiunque altro avesse le competenze adatte, per così dire. Raggiunse Vince, che gli porse la confezione di birra e l'aiutò a montare in sella con lui. L'Angel avviò il motore, diede un paio di sgasata e partì rombando.

Cavalcare sulla Main Street, lo aiutò a dimenticare l'incubo. Quando si fermarono nello spiazzo con le moto, il cervello si era depurato.

Smontarono. L'insegna del bar era accesa. Hunter non l'aveva ancora vista. I neon ricurvi formavano l'immagine di una gnocca distesa sul sedile di una moto. Aveva le bocce al vento. I capezzoli erano due lucine rosse.

Vince si accorse che Hunter fissava ipnotizzato l'insegna e disse: «Lo fa venire duro anche a me.»

Hunter era impressionato, più che eccitato, ma non lo confessò a Vince.

Entrarono. Il bar era vuoto. Il flipper nell'angolo spento.

«Sono tutti sul retro. Vieni», disse Vince.

Condusse Hunter sul fondo del locale e aprì una porta dotata di maniglione antipanico. Uscirono su uno spiazzo grande. C'era un tavolo rettangolare nel mezzo di quell'ambiente. I posti a sedere erano una decina.

Death's AngelsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora