13.

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Vince era tornato da un pezzo e aveva pulito il box dove tenevano i cani. Saul l'aveva aiutato mentre Ziggy, Moses e Gus smontavano il recinto e lo facevano sparire. Quando McKenzie arrivò, non c'era più niente a parte la puzza.

McKenzie salì con le ruote anteriori della porcilaia sul marciapiede. Smontò assieme a un tizio in giacca e cravatta e con una cartellina. E stavolta indossava l'uniforme. Un'altra porcilaia si fermò poco distante. Due sbirri in uniforme smontarono e si poggiarono alla fiancata. McKenzie e quell'altro entrarono nel bar e guardarono i ragazzi come se fossero gli stronzi più grandi mai usciti da un buco di culo. McKenzie allargò le gambe a compasso e mise i pugni sui fianchi.

«Salve, stronzi», disse. Posò una mano sulla spalla del tizio ben vestito. «Questo è mio cugino Murray. È un ispettore sanitario. Gli è giunta voce che questo buco è una colonia di germi, e mi ha chiesto di accompagnarlo a dare un'occhiata.»

Murray trascinò l'indice lungo la superficie del bancone, lo esaminò e sogghignò.

«C'è più polvere che nella tana di un topo», disse.

McKenzie scosse il capo. Aveva un sorrisetto stretto come la fica di una vergine. Murray infilò il corridoio in fondo e sparì per qualche minuto. Quando tornò, disse a McKenzie che aveva trovato uno stanzino adibito a camera da letto vicino ai cessi – che tra l'altro erano lerci peggio del giaciglio di un barbone – e un paio di box sul retro. Uno era vuoto e puzzava come una stalla, l'altro conteneva degli attrezzi da meccanico e svariati pezzi di ricambio come candele, pistoni e cinghie di trasmissione.

«Non è che mi diresti cosa tenevi nella stalla, vero?» fece McKenzie.

«Quella vacca di tua madre», rispose Bowie.

McKenzie sogghignò. Murray continuò l'ispezione. Annotò tutto quello che non andava sulla cartelletta. Una volta finito, mostrò a McKenzie i fogli pinzati al fermaglio in cima. McKenzie ghignò. Guardò Bowie e disse: «Temo che dobbiate chiudere bottega e pagare una bella multa. Sgomberate. Subito. Non costringetemi a cacciarvi a calci in culo.»

«Perché non ci provi?» ringhiò Ozzy.

«Oz, chiudi il becco», fece Bowie.

«Ascolta il paparino», disse McKenzie.

Murray comunicò ai ragazzi l'entità della multa e il costo dei lavori che avrebbero dovuto fare per mettere a norma il bar – una bella sommetta –, poi McKenzie gli disse di aspettare di fuori.

Quando Murray chiuse la porta, McKenzie disse: «Forse non posso provare che avete fatto fuori quei coglioni dei Vipers, ma posso rendervi la vita un vero inferno. Vi voglio fuori prima di subito.»

Si voltò e uscì. Vince si rivolse a Bowie. «E adesso?» chiese.

«Sloggiamo», rispose Bowie.

I ragazzi lo guardarono come se fosse impazzito.

«McKenzie ce l'ha messo nel culo», spiegò Bowie. «Non possiamo fare un cazzo.»

«E vuoi che ce la filiamo con la coda fra le gambe?» saltò su Ozzy.

«Preferisci farti arrestare? Accomodati, quella testa di cazzo cerca giusto un pretesto. Ma se ti fai schiaffare dentro, scordati gli Angels. Sei fuori.»

«Fanculo», fece Ozzy.

Si alzò, uscì abbaiando di tutto a McKenzie, montò in sella alla sua Harley e filò via. McKenzie lo guardò allontanarsi, poi si voltò verso la vetrata del bar e batté l'indice sul polso.

«Andiamo», fece Bowie.

Gli Angels uscirono dal Little Bitch in processione. McKenzie li guardò sfilare, sostenne le occhiate assassine e salutò un paio di loro, sperando di aizzarli ma senza successo. I ragazzi montarono in moto, Bowie sul furgone e sgommarono via. Mentre proseguivano su Gas Street, Joey affiancò il furgone. Bowie mise il naso fuori dal finestrino.

Death's AngelsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora