Capitolo 1

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1. My hero

 My hero

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Katherine
Paura e sangue.
Sangue e paura.
Urla, le sue.
Una sirena lampeggiante.
Il buio e infine la luce.

"Ce la farà, deve farcela per forza."
"Con che coraggio ha fatto una cosa del genere?"
"Chissà quello stronzo cosa le ha fatto per portarla a fare una cosa del genere."
"Lo ucciderò."
"Non puoi farlo."
"Devo."
"Vuoi che ti ricordi che suo padre è un militare?"
"Vuoi che ti ricordi che quel figlio di puttana è ancora a piede libero e può farle ancora del male?"

Riuscii a sentire un piccolo frammento di conversazione per poi ricadere di nuovo nell'oblio.

Non ero morta, ero più che viva, ma ero fin troppo debole.
"Ha perso troppo sangue." aveva detto il dottore mentre parlava con mio padre.

Ero sveglia e riuscivo a sentire le persone parlare, ma non avevo abbastanza forza per rispondere a chi mi parlava o, addirittura, per aprire gli occhi.
Non ero in coma perché, fortunatamente, il mio cervello non aveva subito danni, almeno non quelli fisici; ero semplicemente svenuta, a causa dell'eccessiva perdita di sangue.

"Cos'hai fatto, stupida ragazzina?" aveva urlato con rabbia quell'essere ignobile.
Avevo fatto il possibile per salvarmi, ecco cosa avevo fatto. Sapevo che vedendomi in fin di vita avrebbe fatto il possibile per non farmi morire: quel bastardo, anche se in modo malato, ci teneva troppo a me e io avevo saputo sfruttare la sua mente malata a mio vantaggio.

Certo, da quel giorno in poi avrei avuto due cicatrici enormi sui polsi che mi avrebbero sempre ricordato il mio atto folle, ma preferivo due stupidi graffi piuttosto che passare solo un secondo in più con quella bestia.

Due giorni. Erano bastati due giorni per farmi uscire fuori di testa.
Due giorni di inferno che avrei tanto preferito dimenticare.
Due giorni che non avrei mai raccontato a nessuno per la vergogna della mia fragilità e del mio non sapermi difendere.

Voleva partire con me, costruire un futuro insieme e "essere felici", senza sapere che felicità e una vita con lui non erano altro che un ossimoro.
Mi ero arresa a lui per salvare la mia migliore amica, ma non posso non ammettere che mi ero pentita mille volte di averlo fatto in sole 48 ore.

Dovevo svegliarmi. Lo sapevo, dovevo reagire. Ma era così bello stare sdraiati e fingere di vivere in un modo di favole, dove il nome Ken ti fa pensare al fidanzato plastificato di Barbie e non al tuo peggior incubo.

Un mondo in cui potevo essere felice senza preoccupazioni, in cui potevo vivere senza la paura che lui potesse tornare da un momento all'altro perché, ne ero sicura, prima o poi sarebbe tornato per vendicarsi.
Provai ad immaginare un mondo perfetto, eliminando tutte le violenze, fisiche e psicologiche, subite in passato e quelle che avrei subito ancora.

In questo mondo utopico, c'era mio papà che non sussultava ogni volta che arrivava una chiamata, con il timore che fosse mia madre. Lui non me l'aveva mai detto, ma sapevo che molto spesso lui doveva intervenire per risolvere i casini che combinava la donna da lui tanto amata.
C'eravamo io, Alex e il nostro folle amore. Avrei tanto voluto poter vivere il nostro amore in maniera pulita, senza segreti o paure, ma sia io che lui avevamo troppi scheletri nell'armadio che nessuno avrebbe mai potuto cancellare. Sarebbe stato così bello poter andare al cinema solo noi due per poi andare in un ristorante, o anche in una semplice pizzeria, l'importante era stare insieme.

Noi non avevamo mai fatto cose del genere perché noi non eravamo una coppia normale: un giorno di pace e serenità e dieci passati ad ignorarci per chissà quale assurda discussione. Una discussione che non si risolveva facilmente, come quelle tra tutte le coppie, no: o io fuggivo da lui o lui fuggiva da me, fino a quando non venivano messi con le spalle al muro.

Nonostante tutto, non avrei cambiato nulla di noi due. Beh, certo, la parte in cui venivo rapita avrei preferito cancellarla, ma per il resto eravamo perfetti così.
Non me ne facevo nulla di fiori, cioccolatini e cene romantiche se potevo avere amore, passione e eccitazione. Dovevo trovare la forza per aprire gli occhi, non potevo arrendermi in quel modo perché ciò avrebbe voluto dire che lui aveva vinto.

«Pensa a qualcosa di bello, Katy, pensa a qualcosa di bello» continuavo a ripetermi, ma la mia mente era bloccata al ricordo delle sue mani che mi toccavano, che mi violavano.

Dovevo farcela, ancora un ultimo sforzo e sarei riuscita a vincere una delle tante battaglie di quella guerra chiamata vita.
E poi arrivò la luce, la mia unica salvezza.

«Ehi, piccolina» mi sentii accarezzare i capelli «Perdonami, ho fallito» una lacrima, quella di mio padre, mi bagnò il viso. Stava piangendo, l'uomo che non aveva mai pianto in vita sua stava piangendo. Per colpa mia.
«Ricordi quando eri piccola e mi ripetevi, in continuazione, che ero il tuo principe?»
Lo sentii ridere e il mio cuore si riempì di gioia al ricordo di una piccola Kat che credeva nelle favole; una piccola Kat che credeva che il suo papà fosse io suo unico eroe. Nelle favole non ci credevo più, ma mio padre avrebbe continuato per sempre ad essere il mio principe.
«Dicevi che ero il tuo eroe, mi chiamavi addirittura Papino super eroino» finalmente la mia mente riuscì a liberarsi dai brutti ricordi. C'eravamo solo io e il mio papà. «Era inutile dirti che la parola "eroino" non esisteva, perché tu sei sempre stata troppo testarda»
Ero sempre stata testarda. Perché avrei dovuto smettere di esserlo in quel momento? Niente poteva fermarmi, nessuno doveva impedirmi di vivere la mia vita.

«Ti chiedo di essere testarda ancora una volta e di non lasciarti andare. Il dottore ha detto che stai bene, è la tua mente a non voler reagire» sospirò, affranto.
Lo immaginai con la fronte corrucciata e il viso stanco e mi sentii in colpa. Non volevo che stesse così per colpa mia, aveva già dovuto rinunciare a troppe cose nel corso della sua vita, proprio come me. Meritava la serenità.
«Non so cosa ti ha fatto quel bastardo, ma ti assicuro che lo troverò» tornò ad essere il militare coraggioso che tutti conoscevano e ammiravano. «Ma ho bisogno che tu apra gli occhi, amore, per favore. Fallo per me» mi supplicò.

Mi baciò la fronte e sentii la sedia stridere sul pavimento. Se ne stava andando, non potevo distruggerlo in quel modo. Dovevo svegliarmi, dovevo farlo per lui, ma soprattutto per me è per la vita che mi aspettava.
Avevo delle amiche fantastiche, un padre che mi amava e...avevo Alex, sempre che lui avesse accettato di stare ancora al mio fianco.

Dovevo svegliarmi anche per riprendermi ciò che era mio e che mi era stato tolto: la felicità.

» spazio autrice
I'm backkkkkk!
Come state, tutto bene? Domani ricomincia la scuola, tutte pronte a tornare all'inferno?
Spero tanto che seguirete ancora le avventure di Alex e Katy in questo nuovo capitolo della loro vita.

A presto, vi adoro ❤️

He likes winningWhere stories live. Discover now