Capitolo 15

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15. Little things

Katherine's pov- Perché cazzo sei venuta solo ora da me? - urlò sbattendo con forza quell'orrendo biglietto sul tavolo della cucina

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Katherine's pov
- Perché cazzo sei venuta solo ora da me? - urlò sbattendo con forza quell'orrendo biglietto sul tavolo della cucina.

Il suo urlo e il rumore provocato dalla sua mano sul marmo mi costrinsero a chiudere gli occhi per il fastidio. Avevo passato una notte insonne ed ero arrivata a mettere il coltello per la carne sul comodino, come se poi avessi avuto davvero il coraggio di accoltellare una persona. Il mal di testa era troppo forte e non sapevo come avrei fatto a sopportare sette ore in quella scuola. Avevo anche pensato di saltare scuola quel giorno, ma avevo fatto fin troppe assenze, non potevo permettermi quel lusso.

- Hunter, calmati. - sbuffai stizzita. Mi stava innervosendo. - Anche se te l'avessi portato ieri, non avresti potuto fare nulla. - alzai le spalle.
Che avrebbe potuto fare? Appostarsi come una sentinella fuori la porta di casa? Sarebbe stato ridicolo.

- Per prima cosa non ti avrei lasciata da sola, mettendoti ancora di più a rischio. - si era avvicinato ed era a pochi centimetri dal mio viso. I suoi occhi verdi erano fissi nei miei e il suo sguardo non prometteva nulla di buono. Quel ragazzo aveva il potere di mettermi soggezione.

- Quel che è fatto è fatto. - mi allontanai da lui con la scusa di dover prendere l'acqua dal frigo.
Se con Alex mi capitava di distogliere lo sguardo perché mi imbarazzava, con Hunter era tutt'un altro discorso: distoglievo lo sguardo perché mi incuteva timore, certe volte.

- Sei un'incosciente. - lo sentii borbottare. - Sai cosa succederebbe se riuscisse a prenderti? - chiese, come se non fossi a conoscenza dei rischi che correvo.

- Ti licenzierebbero perché hai fatto un lavoro di merda. - sorrisi prima di portare il bicchiere d'acqua alla labbra. Meglio sdrammatizzare, non mi andava di rovinarmi la giornata già alle 7.30.

- No, te la farebbe pagare per quello che hai fatto l'ultima volta. - mi fissava serio, tenendo una postura rigida e le braccia incrociate al petto. Sembrava un soldato.

- Lo so. - sbattei involontariamente il bicchiere sul marmo della cucina per il nervosismo alle stelle. Non avevo bisogno che lui mi ricordasse quanti pericoli corressi, lo sapevo già da sola. - So benissimo di cosa è capace. - scossi la testa per far in modo che i ricordi non riaffiorassero, ma fu impossibile.

Mi rividi da bambina, mentre mi nascondevo da lui con la speranza che, almeno per una sera, mi avrebbe risparmiata. Quella bambina che nascondeva il suo peluche preferito, il suo unico amico di infanzia. Non poteva avere amici perché avrebbero visto quei segni sul suo corpo, quelle cicatrici che una bambina della sua età non doveva avere; mi rividi da adulta mentre pregavo che non mi avrebbe toccata nel modo in cui pensavo, in un modo del tutto sbagliato per un uomo della sua età. Non sapevo perché non l'avesse mai fatto quando ero più piccola, forse in lui c'era una piccola percentuale di umanità. Ma il peggio fu quando mi rividi legata a quella sedia, con un pezzo di vetro tra le mani e fiumi di sangue che scorrevano dalle braccia. Il dolore fu atroce, sentii ogni singola parte del mio corpo bruciare e il battito del mio cuore accelerò con un treno in corsa.

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