Capitolo 9

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9. Loser

- Che vuoi da me, Alex? - ero esausta, non riuscivo più a reggere il peso del suo sguardo e del suo tocco

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- Che vuoi da me, Alex? - ero esausta, non riuscivo più a reggere il peso del suo sguardo e del suo tocco.
- Non lo so. - sospirò.
- Cosa ci siamo fatti? - gli accarezzai la guancia con delicatezza, come si accarezza un bambino. Volevo che si allontanasse, ma allo stesso tempo volevo stringerlo a me.
- Ti amo. -
Mi lasciò un bacio a fior di labbra e si allontanò da me, lasciandomi ancora una volta da sola.

Era passato un mese e due settimane da quella sera, ma tutte le emozioni che avevo provato con lui e per lui non ne volevano sapere di andare via.

Lui sembrava essere andato avanti: usciva ogni sera, si divertiva ed era tornato a frequentare le sue vecchie amicizie, quelle che non mi erano mai piaciute.
Matt continuava a ripetermi che dopo di me non c'era stata nessun'altra ragazza, eppure per me era davvero difficile crederci. Insomma, stavamo parlando di Alexander Blake, colui che cambiava una ragazza ogni sera, che non si faceva scrupoli a baciarne più di una anche nella stessa serata.

"Sta male e ti ama."
Continuavano a dirmi tutti, come se fossi stata io a lasciarlo e ad abbandonarlo. Non ero stata io, era stato lui ad arrendersi.
Certo, io non gli avevo facilitato il lavoro, ma lui aveva deciso di mollare tutto e seguire la strada più facile.

Quella che stava più male tra i due, quella che non riusciva ad andare avanti, quella che aveva subito di più le conseguenze di tutto ero io. Ero io a dormire la notte con la luce accesa per la troppa paura del buio, non lui. Ero io che ogni sera rileggevo le nostre conversazioni, non lui. Ero io che restavo a casa a pensare a noi due, non lui che se ne usciva combinava chissà cosa.

- Un penny per i tuoi pensieri. - Jackson mi schioccò le dita davanti agli occhi, riportandomi alla realtà.

- Meglio di no. - forzai un sorriso.
Bevvi un lungo sorso di milkshake e, a causa del ghiaccio della bibita, mi si gelò il cervello. Quanto avrei voluto mettere tutti i pensieri a tacere, sconnettere il cervello e collegare solo il cuore che mi portava direttamente da lui.

Potevo andare da lui, ma temevo un suo rifiuto, temevo che in realtà non mi volesse più, che fosse andato avanti dimenticandosi per sempre di me. Ero venuta a sapere che aveva avuto di nuovo problemi col padre e il mio primo istinto era stato quello di correre da lui e abbracciarlo, ma non potevo farlo, non più.

- Come stai? - mi ripeté la domanda che ormai mi faceva da giorni. In lui avevo trovato un amico, se non addirittura un fratello.

Tutto era cominciato quando, per sbaglio, ero entrata negli spogliatoi dei maschi in palestra, dove ero scoppiata in lacrime. Quel giorno Alex mi era passato davanti senza degnarmi nemmeno di uno sguardo e mi ero sentita morire.

Avrei tanto preferito che mi urlasse contro, che mi dicesse cose orribili, ma il suo silenzio era assordante. Era come se non fossimo mai esistiti, come se per lui la nostra storia non avesse avuto alcun valore.

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