─ Pilot

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Mi piace pensare che di definitivo ci sia solo la morte.

Mi piace pensare che, di determinato, non nasca nulla. Al diavolo i filosofi esistenzialisti come Kierkegaard: compiendo una scelta non ci precludiamo da tutte le altre mille possibilità, si può sempre tornare indietro e prendere un'altra strada. Sono proprio le scelte invece a definirci, come esseri umani e come persone. Sono le scelte, a metterci in relazione con le altre persone e sono sempre scelte quelle a cui dobbiamo reagire, quando ci relazioniamo con qualcuno.

Avevo scelto di fare domanda alla Columbia, e loro avevano deciso di accettarmi.

Papà aveva scelto di trasferirsi a Shanghai, e io di non seguirlo.

La mamma aveva scelto di ospitarmi a New York, e Peter di lasciarmi.

D'altronde, come avrei potuto rinunciare all'opportunità di una vita, a frequentare il corso di scrittura creativa alla Columbia, a trasferirmi nella città dei miei sogni? Avevano scelto sempre gli altri, nella mia vita, e per due anni avevo seguito papà in giro per il mondo lasciando da parte i miei desideri, fino a trovarmi al momento in cui avevo dovuto compiere un arduo gesto: ritrovare me stessa.

Bastava rifletterci un po' più a lungo, e se fossi andata avanti così tutti i miei sogni sarebbero crollati in frantumi. Ogni certezza si spezzava davanti ai miei occhi, che fino a quel momento erano stati abbagliati da una luce troppo forte per vedere tutte le crepe che si erano formate col tempo. Eppure, non potevo più rimandare. Dovevo lasciare ogni sicurezza di Pittsburgh per andare incontro a quello che credevo fosse il mio destino o, che per lo meno, speravo lo fosse.

New York.

Lo skyline apparve chiaro ai miei occhi appena l'aereo perse quota, pronto ad atterrare. L'oblò si colorò di arancio e rosso, il cielo sotto le nuvole era pronto a salutare il sole in un momento di tranquillità, lontano dal caos e dal traffico della città. Niente rumori, niente persone. Il cielo era lì, davanti a me, o più che altro attorno a me, da un lato di uno scuro blu e dall'altro tinto di sfumature calde e avvolgenti. E la città, azzurra, fredda, si stagliava contro quella tela impressionista.

Inspirai a fondo, tra me e me. L'Hudson scorreva dietro i grattacieli più alti ed era decisamente più ampio dell'Ohio che attraversava Pittsburgh.

Ma non ci pensai a lungo. In un battito di ciglia ero scesa dall'aereo ed ero già sul taxi giallo, il re della città, diretta nell'Upper West Side. Mi colmai di bellezza affacciandomi al finestrino.

Il taxi mi lasciò esattamente davanti al Clayborne. Era immenso. Non riuscivo a staccare gli occhi dall'edificio, così elegante, così imponente. Provai a valutare i piani, arrivai a dieci e persi il conto. Avorio, me ne stavo a fissare con il viso all'insù gli elementi decorativi in stile rinascimentale e i due imponenti archi che permettevano l'ingresso. Oltre i voltoni, e oltre un cancello di ferro battuto, si intravedeva un cortile interno ricco di verde.

CLAYBORNE BLUESWhere stories live. Discover now