21. forever goodbyes

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Mai come in quel momento la mia vita mi era parsa confusa

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Mai come in quel momento la mia vita mi era parsa confusa. Offuscata, quasi, perché sapevo che c'era, riuscivo ad intravedere i dettagli, ma era come se la nebbia che vedevo fuori dalla finestra fosse penetrata anche nella mia testa, e si fosse posata tra i miei pensieri, impedendomi di riuscire a individuare i dettagli. Ero sicura della Columbia, del corso di scrittura creativa, e stavo proseguendo con le lezioni e con il mio esame di fiction. Avevo inserito persino il personaggio della detective Tao, perché era davvero di ispirazione. Ma per il resto? Non avevo idea di che cosa stessi facendo. Non sentivo mio padre da una settimana intera, parlavo con mia madre a stento, siccome continuava a biasimarmi per le indagini e io continuavo a biasimarla per avermi tenuto all'oscuro di tutto. Mi era persino balenata di nuovo in testa l'idea che potesse essere coinvolta nell'omicidio di Arnold Root, ma non aveva senso. E poi, Dante? Dante non lo capivo. Non più, almeno. Mi aveva tagliata fuori dalla sua vita un'altra volta, richiudendosi nella sua corazza, mentre io mi ero chiusa nella mia. Non avevo capito che cosa fossimo e per me, che ero solita etichettare tutto, era piuttosto sconcertante. Avevamo i nostri momenti, di tanto in tanto, in cui il resto del mondo scompariva, i problemi si dissolvevano, ed esistevano solamente i suoi abbracci caldi e confortevoli, il profumo di tabacco e i sorrisi accennati. Com'era possibile che tutto quello che avevamo passato si dissolvesse così in fretta, per una qualche stupida incomprensione?

Non potevo, non volevo che accadesse.

Scivolai giù dal letto. Avevo dormito fin troppo, il sole era già alto nel cielo, anche se la nebbia lo offuscava. Infilai le ciabatte e mi diressi al piano inferiore, perché era ora di chiarire le cose con Dante.

Solo quando vidi mia madre seduta sul divano, mi ricordai che era sabato.

Da qualche parte doveva esserci anche Humphrey.

Non potevo perdere la concentrazione. Mi ero alzata dal letto convinta che avrei parlato con Dante, che avremmo chiarito, e che tutto si sarebbe sistemato. Ci saremmo abbracciati e gli avrei chiesto scusa. La presenza dei nostri genitori non cambiava niente.

Salutai distrattamente la mamma, andai a prendere una tazza dalla credenza e mi versai del caffè.

Mi guardai intorno. La televisione era accesa, a volume basso, la mamma era seduta sul divano con una tazza fumante davanti e un libro in mano. Le tende erano tutte aperte, la luce entrava libera di posarsi ovunque, in ogni angolo della casa ordinata.

La porta della camera di Dante era aperta.

Al piano di sopra, anche la porta della camera di Humphrey e Caroline era spalancata, e non si sentiva fiatare. Mi sporsi allora verso l'ingresso, e notai che il cappotto di Humphrey non era appeso, e nemmeno il bomber scuro di Dante.

Dove potevano essere andati di sabato mattina? Dante usciva solo il lunedì per la riabilitazione.

«Tutto bene, Amy?»

CLAYBORNE BLUESWhere stories live. Discover now