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«Mi sta sorprendendo da morire, sai? Credevo che sarei rimasto travolto dal ritmo frenetico e dal carattere asettico dei palazzi, invece sto apprezzando a pieno la bellezza di questa città che deve essere sicuramente vissuta a fondo per essere cap...

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«Mi sta sorprendendo da morire, sai? Credevo che sarei rimasto travolto dal ritmo frenetico e dal carattere asettico dei palazzi, invece sto apprezzando a pieno la bellezza di questa città che deve essere sicuramente vissuta a fondo per essere capita».

Strinsi le labbra e mi sporsi verso lo specchio per mettere il mascara sulle ciglia.

«Ieri sono stato nell'area del Bund, da dove si può vedere lo skyline dal fiume. È sicuramente una delle zone della città dov'è più evidente il passato coloniale, ma passato e futuro si intersecano in un modo tutto loro, molto affascinante. Da un lato ci sono le architetture europee e dall'altro i grattacieli dalle forme futuristiche. Da un lato sei nella realtà, e dall'altro sembra di essere in un videogioco ambientato in un futuro distopico».

«Sembra bello» commentai.

Papà proseguì per altri cinque minuti a raccontarmi tutta la passeggiata intrapresa nel weekend, perché dopo settimane di intenso lavoro aveva deciso di prendersi una pausa e scoprire la città dove sarebbe vissuto per chissà quanto tempo. Mi parlò della strada pedonale equivalente alla 5° Avenue di New York, delle boutique, dei templi, delle bancarelle.

Dunque, mentre io trascorrevo la mia domenica a litigare con la mamma per poi darmi alla macchia per non incontrarla mai più, lui si divertiva tra le ampie vie di Shanghai.

Finii di pettinarmi i capelli pieni di nodi davanti allo specchio. All'improvviso mi vedevo pallida un po' come lo era Dante, con i segni delle occhiaie sotto la rima inferiore delle ciglia e gli occhi gonfi e stanchi. Avevo trascorso una notte infernale. Credevo che almeno sentire papà per telefono mi avrebbe rincuorata, ma non stava facendo altro che peggiorare la situazione.

Indossai i primi abiti che mi capitarono a tiro dalla valigia che ancora mi ostinavo a non disfare completamente.

«Che ore sono lì?» chiesi, poi, mentre papà faceva una pausa.

«Hm... le nove e mezza. Sto mangiando una zuppa. Lì?»

«Le otto e mezza. Bevo una tazza di caffè e vado all'università».

«Come sta andando alla Columbia?»

Trattenni vagamente un sospiro mentre scendevo le scale con le cuffie nelle orecchie e il telefono in tasca. «Bene. Devo trovare una storia da raccontare per il corso principale di fiction».

«Che tipo di storia?»

«Qualunque storia».

Papà prese allora a darmi delle idee. Mi propose di raccontare della mia storia d'amore con Peter, tutti gli alti e bassi che avevamo passato per la distanza e i magnifici incontri all'aeroporto. Mi propose di raccontare dei nostri viaggi, uno più pazzesco di quell'altro, tra l'Europa, l'America latina e il Giappone. Mi propose persino di mettere nero su bianco il processo decisionale che mi aveva fatto scegliere di tornare tra i banchi di scuola dopo aver perso due anni della mia vita con lui.

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