5. past hurts

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Nel testo biblico si precisa che il serpente è intelligente, astuto, ma la sua intelligenza è messa al servizio di un fine cattivo e per questo condannata. Nel dialogo con Eva, il serpente arriva per gradi al suo obiettivo: rivela il suo disegno di opposizione a Dio già nella domanda che rivolge alla donna, con il gioco di parole per il quale la proibizione di mangiare i frutti di un albero viene estesa ad ogni albero. Il serpente porta così Eva a dubitare che il divieto di Dio possa essere legittimo, e lei si lascia trascinare dal gioco del serpente e cade nella sua trappola.

Ancorai le dita al pomello della porta del 92B. Gelido, mi sfiorò i polpastrelli trasmettendomi un brivido. Era la stessa freddezza che avevo percepito scivolando sotto il nastro giallo della scena del crimine, e lo stesso che avevo provato una volta colta in flagrante.

Sgusciai nell'appartamento con la stessa maestria.

Tuttavia, non bastò: la mamma era in cucina, rivolta verso l'entrata. Non potevo di certo sfuggirle.

«Amelia» mi richiamò, con una voce più autoritaria del solito.

Bloccai il telefono prima che le mie ricerche su Google venissero esposte e lo ficcai nella tasca destra dei pantaloni, mentre nella sinistra giacevano i biglietti di carta che avevo trafugato dal cestino di Arnold Root.

«Sì?» chiesi.

«Sei impazzita?»

Sollevai le sopracciglia. Caroline mi fissava sulla soglia della cucina, il grembiule le copriva l'abito nero che indossava durante la commemorazione. Il servizio doveva essere finito, perché sul bancone alle sue spalle giacevano dei vassoi vuoti. Mi stava scrutando attenta.

Credevo che avrebbe proseguito e che quella sarebbe stata solo una domanda retorica, ma siccome non si mosse di un centimetro mi schiarii la voce e andai dritta al punto.

«Non aveva senso che rimanessi lì» spiegai.

Fu lei ad alzare le sopracciglia, questa volta. I suoi grandi occhi scuri si spalancarono. «Amelia non puoi andartene in questo modo! Se non volevi rimanere dovevi avvisarmi! Mi sono preoccupata da morire!»

Agitò le mani, chiaramente turbata. Scosse la testa, e sospinse i lunghi capelli scuri dietro le spalle appena le infastidirono il volto. Io rimasi immobile nell'ingresso di quell'appartamento, con le braccia lungo i fianchi, non sapendo cosa dire. Non sapevo come comportarmi, perché non volevo discutere e lei mi sembrava sincera. Tuttavia, era davvero eccessivo.

«Mi dispiace» mormorai, decidendo di seppellire l'ascia per prima.

Ma la mamma non me lo lasciò fare. «Anche alla centrale di polizia hai fatto così: te ne sei semplicemente uscita, andata chissà dove, ed io come una cretina ho chiesto a chiunque per capire che fine avessi fatto. Ho bisogno che tu mi parli, Amelia».

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