17. family secrets

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«Non credo che mi abituerò mai a vederti scassinare le porte»

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«Non credo che mi abituerò mai a vederti scassinare le porte».

«Non farla tanto lunga».

«Sei entrata così anche nella mia stanza?»

«No, rispetto la tua privacy».

«Sono onorato» bofonchiò Dante, ma proprio quando credevo che avrebbe smesso, proseguì: «E in base a cosa scegli le privacy da violare?»

Gli tirai un buffetto sulla nuca, visto che non mi stava guardando, e a quel punto si voltò di scatto nella mia direzione, massaggiandosi il punto che avevo colpito come se l'avessi fatto con una mazza da baseball.

«Che fine hanno fatto le regole non fiatare e non parlare?» chiesi.

Dante tese la mandibola e alzò gli occhi al cielo. «Vorrei che venisse messo a verbale che non approvo niente di tutto questo».

«Non c'è nessun verbale, Dante. Datti pace e stai zitto».

Sospirai.

L'appartamento di Arnold Root non aveva assolutamente niente a che fare con quello di Gertrude, e mi sentivo molto più a mio agio lì, senza tanti soprammobili, fotografie e dipinti con gli occhi puntati ovunque. Insomma, era più facile così, senza distrazioni - tranne Dante.

Le medicine erano ancora sulla scrivania insieme ai fogli sparsi e all'agenda. Le tende erano tirate, la macchia di sangue scura imbrattava ancora il divano. Sembrava che lì il tempo non fosse passato. Erano trascorsi giorni, anzi, settimane da quando l'avvocato era morto, ma niente era cambiato. Quell'appartamento era diventato una capsula del tempo che avrebbe mantenuto i suoi ultimi giorni di vita intatti fino alla fine dei tempi. Pareva che quello fosse il limbo di Arnold Root, e sarebbe rimasto tale finché qualcuno non lo avesse liberato una volta per tutte.

Mi rigirai tra le dita la fotografia in bianco e nero che avevo trovato la prima volta che ero stata lì. Di tutti gli oggetti e di tutti gli indizi raccolti in quell'appartamento, la fotografia era l'unica pista che non avevo intrapreso perché in realtà non sapevo nemmeno se fosse una pista, o che cosa avrebbe dovuto significare.

Avevo riconosciuto Rufus. Più la guardavo, più era ovvio che quello fosse il giovane e brillante regista in erba, con quel ghigno sulle labbra sottili e gli occhi pungenti. E poi c'era il grasso Arnold Root, che doveva essere dimagrito negli anni, e si era specializzato nell'esercizio della legge. Il suo volto al confronto con quello di Sewell era più gentile, l'espressione bonaria e il sorriso accennato non avevano niente a che fare con l'aria compiaciuta dell'altro.

Ma le vere protagoniste della fotografia erano le ragazze: una accanto a Sewell e una accanto a Root, anche se il lato destro la strappava a metà, avevano grandi sorrisi e sembravano tutto tranne che seccate di scattare quel ricordo. Erano l'una l'opposto dell'altra, una lunghi capelli morbidi e vaporosi, l'altra corti e dritti, una alta e l'altra bassa, una vestita con un blazer dalle spalline imbottite e la gonna e l'altra con una semplice maglia a maniche corte e dei jeans.

CLAYBORNE BLUESWhere stories live. Discover now