7. that's cruel

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Eravamo tornati alla normalità

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Eravamo tornati alla normalità. Quella quotidianità per qualcuno sarebbe stata assurda ed impensabile, e all'inizio lo era anche per me, ma poi divenne abitudine. Dopo le litigate in famiglia e le sigarette, le foglie avevano iniziato a cadere e Dante si era rintanato nella sua stanza. Le aule affollate della Columbia mi avevano adottata per cercare di riordinare i pensieri che continuavano a sovrapporsi, tentando di creare la mia storia per l'esame che avrei dovuto preparare in due mesi.

Ed era di nuovo lunedì. Il cielo si era rannuvolato ancora, settembre stava finendo ed il mascara era secco.

Imprecai tra me e me nel bagno, quando qualcosa sbatté con forza al piano di sotto e delle urla iniziarono ad invadere l'appartamento, accompagnate da grossi passi concitati. Mi voltai indietro, ma dovetti poi aprire la porta e affacciarmi sul corridoio per comprendere che cosa stesse succedendo.

«No! Non esiste!»

«Danny! Per favore» Humphrey tossì. «Sii ragionevole!»

«Non voglio esserlo!»

«Ti accompagno io, Danny. Non è la fine del mondo».

«Non voglio andarci!»

Abbandonai quello che stavo facendo, indossai il grosso blazer che avevo lasciato sul letto e scesi le scale, tentennante, con il timore di scoprire esattamente di che cosa si stesse parlando. Non dovetti nemmeno arrivare alla fine della scala, con le dita ancorate alla ringhiera, perché vidi subito Humphrey sul divano, con una coperta sulle spalle e il volto rosso. Aveva un pessimo aspetto.

La mamma era in piedi, invece, la solita tazza con stampa tra le dita, fumante, il volto contrito.

Li lasciai alle loro discussioni e scivolai in silenzio fino alla cucina. Mi lanciarono un'occhiata veloce, ma io ero già andata a versarmi il caffè, con l'ansia che mi attanagliava lo stomaco, per nessun motivo in particolare.

«Sei perfettamente in grado di farlo da solo, Danny. Hai ventiquattro anni, sei sveglio, puoi salire su un dannato taxi e tornare indietro».

«Ma non voglio farlo!» gridò lui, esasperato. «Ogni volta che vado è peggio!»

Mi appoggiai al bancone della cucina e affondai il viso nella tazza, mentre mi facevo un'idea di ciò che stava succedendo. Era lunedì e normalmente, mentre facevo colazione, Humphrey e Dante uscivano per andare nello studio che si occupava della sua riabilitazione. Visto come era messo Humphrey, col naso gocciolante e gli occhi lucidi, sicuramente non era in grado di accompagnarlo. E ascoltare la loro discussione confermò tutto quello che stavo pensando, mentre Humphrey e Dante si insultavano e la mamma cercava di calmare gli animi.

«Non ci provare, Danny» fece d'un tratto Humphrey, serissimo. Dante se ne stava andando in camera sua. «Abbiamo fatto un patto!» tuonò.

Dante si congelò. In mezzo alla stanza, rigido, con la testa bassa.

CLAYBORNE BLUESWhere stories live. Discover now