8. new york's in love

158 13 6
                                    


Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.




Non fu difficile decidere che cosa mangiare. Dante era ancora alle prese con le sue stampelle, in cui le persone distratte e frettolose sembravano continuamente inciampare, e lui era affaticato. Quando ci sedemmo su una panchina, si massaggiò persino i bicipiti, mentre si guardava attorno, attento ad evitarmi per bene. Il parco era pieno di gente, chi faceva jogging e chi mangiava un gelato vicino al carretto dei bambini, chi faceva una passeggiata rilassante e chi invece trascorrendo la propria pausa pranzo esattamente come noi. Una coppia ci passò davanti lamentando il cielo grigio.

Incrociai le gambe e porsi a Dante il suo hot dog.

Avevo tantissime domande da porgli. Avrei iniziato con il rapporto conflittuale che aveva con Humphrey, e poi gli avrei chiesto dove fosse finita sua madre, se lo stesse aspettando a Chicago. Gli avrei chiesto dell'incidente, sul quale non mi ero documentata per rispettare la sua privacy, e da quanto fosse a New York esattamente. Volevo persino sapere perché non voleva tornare a Chicago in modo così categorico, convinto a tal punto da andare alla riabilitazione con me, piuttosto che tornarci.

Ma Dante mi precedette su tutto.

«Eri fidanzata, Morales?» domandò, come se fosse la cosa più normale ed ovvia del mondo.

Quasi mi soffocai con il pranzo. Mi voltai e per una volta trovai il suo sguardo bruciarmi addosso, attento, e curioso. I suoi occhi non erano bui, né lucidi. Erano normali. Tranne che per le occhiaie profonde, che ormai erano diventate del tutto ordinarie.

«Lo sai che sono cose private, vero?» chiesi, cercando di evitare la domanda.

«Tu continui a parlare al telefono a voce alta».

«Quindi sarebbe colpa mia?»

Dante si strinse nelle spalle. «Non ho detto questo» e tornò a mordere l'hot dog.

Sospirai piano, allora, perché tanto valeva mettere le carte in tavola e liberarmi di quel peso. Ormai doveva già sapere le cose fondamentali, visto che aveva ascoltato la mia ultima litigata con Peter. Pensavo che mi sarei sentita peggio a raccontare di come era naufragata la storia, ma in realtà lo stomaco non mi si chiuse neanche un po'.

«Peter Jones» borbottai.

Dante sollevò le sopracciglia. «È il tuo pseudonimo?»

Lo guardai confusa. «È il mio ex».

«Oh, sembra un nome finto. Tipo Peter Parker o Clark Kent».

Ridacchiai prima di riuscire ancora a rendermene conto. Scossi appena la testa, e distolsi lo sguardo imbarazzata.

«Purtroppo è una persona vera. Che mi ha tradita. Ti risparmio i torbidi dettagli, ti basti sapere che continua a chiamarmi e a chiamare mio padre, che ovviamente l'adora e non ha idea che lui vada a letto con Sylvie» spiegai, e con quello la conversazione si poteva dire iniziata e conclusa.

CLAYBORNE BLUESDove le storie prendono vita. Scoprilo ora