4. arnold root

195 13 7
                                    


Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.





Una ventina di sedie pieghevoli da campeggio erano state ordinatamente sistemate nella sala ovest del Clayborne. Era una sala molto simile all'ingresso, solo più raccolta e con i soffitti più alti. Al piano terra, le finestre ampie la illuminavano in ogni angolo, tra le persone, tra le sedie e sui tavoli e la luce scivolava sulla pavimentazione di marmo. Aveva un che di solenne.

Le sedie però erano vuote. Dal fondo della sala la fotografia commemorativa di Arnold Root mi fissava intensamente. Non aveva niente di particolare. Era un ritratto ravvicinato, il volto di un uomo dallo sguardo vagamente triste e formale, con barba e baffi curati che come i capelli sfumavano dal castano ad un grigio intenso. Le sopracciglia erano un po' più chiare, gli occhi azzurri. I lineamenti grossi erano messi ben in vista dagli occhiali sottili senza montatura visibile, le stanghette scure. Nella foto pareva indossasse una camicia, ma si intravedeva solo il colletto.

Niente indizi su chi fosse Arnold Root, insomma, ed io non avevo idea del perché mi trovassi in quella stanza.

A quanto sembrava, però, tutti gli altri sapevano perfettamente perché si trovavano lì, e il motivo di certo non era il signor Root: ai tavoli dove la mamma aveva lasciato vassoi di pasticcini si era formata praticamente la fila.

Humphrey chiacchierava con Ed Qualls. Ormai avevo imparato a riconoscerlo, quella specie di alieno dalla bocca larga. Pareva non zittirsi mai ed Humphrey era scocciato. Ma la sua espressione seccata poteva anche essere dovuta all'ultimo litigio col figlio, che non era voluto scendere per nessun motivo al mondo alla commemorazione.

«Ma perché fai sempre così! Non vedi Amelia? È una ragazza ragionevole!» gli aveva rinfacciato. «Perché non puoi essere ragionevole?!»

Non avevo idea di che cosa avesse risposto Dante, ma non doveva essere niente di piacevole. Humphrey era uscito a grandi passi dalla sua stanza, rosso in viso e coi pugni stretti, ed eravamo entrati in ascensore.

«Caroline» salutò Juliana, entrando nella stanza. Si diresse verso la mamma e si strinsero le mani. «Che meraviglia che hai organizzato» annuì.

La mamma la ringraziò a bassa voce. Me ne rimasi appoggiata alla colonna a cui mi ero avvicinata di soppiatto, con tutte le intenzioni di svignarmela il prima possibile, ma non riuscii a fare a meno ancora una volta di pensare che il volto di mia madre fosse eccessivamente triste. Lì a nessuno pareva importare realmente di Arnold Root, e nemmeno lei ne aveva fatto parola, eppure o era un'attrice migliore di Chelah Smith, o c'era qualcosa che non sapevo.

Così, appena Ed Qualls salutò Humphrey per andare a recuperare un'altra tartina, mi avvicinai io.

«Nessuno salirà su quel palco, giusto?» chiesi, indicando con un cenno la zona rialzata accanto alla fotografia.

Humphrey sollevò le sopracciglia folte e un debole sorriso gli distese i lineamenti duri.

«Non credo, no» scosse la testa. Il suo sguardo abbandonò il mio per volare lontano, nella direzione della mamma, e sospirò. «C'è meno della metà del palazzo e tua madre si era preparata all'intero condominio».

CLAYBORNE BLUESWhere stories live. Discover now