11. troubles follow me

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Le prime gocce di pioggia, rade e pesanti come chicchi di grandine, caddero all'alba e poi subito s'infittirono, scrosciando sui tetti delle case e sulle strade

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Le prime gocce di pioggia, rade e pesanti come chicchi di grandine, caddero all'alba e poi subito s'infittirono, scrosciando sui tetti delle case e sulle strade. Poi un lampo, quasi accecante, si levò nel cielo e illuminò tutto il quartiere. E il boato che seguì, fu lui a svegliarmi.

Spalancai gli occhi quando nemmeno mi ero resa conto di averli chiusi, e capii cosa mi aveva ridestata appena un altro tuono rimbombò nel cielo e tra le pareti dell'appartamento ancora completamente assopito nel buio. Così mi sollevai, incerta, confusa. Col cuore in gola per la sorpresa di tanto rumore e confusione, del tutto inaspettati. Con la mente annebbiata, fu allora, quando vidi il temporale infuriare tra le tende aperte della finestra, che mi accorsi di essere nel salone, e non nella mia camera da letto.

Il cuore saltò un battito, e a quel punto fu inevitabile ricollegare gli avvenimenti della notte: il mio fianco sfiorava quello di Dante, che non si era accorto minimamente del brutto tempo. Mi morsi le labbra per trattenere un'imprecazione. Ero incastrata tra lo schienale del divano e lui, su un fianco, voltato verso di me. Teneva un braccio piegato sotto la testa a fargli da cuscino e l'altra mano mi sfiorava una coscia.

Non riuscii a non pensare che fosse bellissimo. Diverso. Per una volta lo vedevo rilassato, nessun cipiglio severo e nessun muscolo teso. Respirava debolmente dalle labbra socchiuse, a ritmo lento e regolare. La flebile luce della notte lo accarezzava gentile, affievolendo le linee dure del suo viso.

Non avevo idea di che ore fossero. Il cielo era scuro, nero come la pece, attraversato solo da fulmini improvvisi che lo rischiaravano per un solo istante, per poi spegnersi nel nulla.

Allungai una mano, timorosa, e sfiorai con la punta delle dita il suo braccio scoperto. Era bollente, come se emanasse un calore proprio, ed io iniziavo invece ad avere freddo, ora che non ero più stretta tra lui e i cuscini morbidi. Ci eravamo baciati, e al solo pensiero arrossii perché quando mi aveva baciata la prima volta avevo deciso che non ne avrei mai avuto abbastanza.

Ogni bacio, ogni carezza era ruvida e calda come lui. Avevamo entrambi bisogno di essere confortati, e quei baci leggeri erano stati solo l'inizio.

Dante mi aveva guardato con quei suoi occhi pesti, provati, luccicanti nel buio che ci avvolgeva. Le sue braccia mi avevano stretta un po' più forte, e lentamente eravamo crollati sui cuscini, distesi uno accanto all'altro, in quel poco spazio che c'era. Tenendoci abbracciati.

Gli avevo sfiorato la punta del naso con il mio, ed il suo respiro mi aveva solleticato le labbra. Ci eravamo guardati nella penombra della notte finché i respiri non si furono calmati e le palpebre erano divenute pesanti.

Un brivido mi corse lungo la schiena e mi strinsi nelle mie braccia, incerta. Non ero sicura di ciò che avrei dovuto fare, se svegliare Dante così che ognuno potesse rientrare nella sua camera, se fosse meglio defilarmi senza dire niente, oppure semplicemente rimanere lì. Ma avevo come l'impressione che rimanere sul divano con lui e tornare a dormire non fosse una buona mossa, perché di sicuro ai nostri genitori sarebbero cadute le mandibole e gli occhi sarebbero usciti dalle orbite.

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