2. unhappy all the way

225 15 5
                                    


Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.






Internet è un mondo affascinante. Vastissimo, angosciante e assolutamente crudele, ma affascinante.

Nei miei primi giorni all'università, tra l'orientamento e le presentazioni di tutti, tra l'inizio dei corsi e le prime strette di mano con persone con cui probabilmente avrei avuto a che fare tutto l'anno più o meno frequentemente, non ero riuscita a non pensare ad Arnold Root.

Era successo che in seguito al falso allarme antincendio e al contemporaneo suicidio, il Clayborne cadesse nel più assurdo dei silenzi. Tutti bisbigliavano. Tutti parevano parlare dello stesso argomento, ma sempre omettendo nomi e, se passavi casualmente lì intorno, le conversazioni cadevano repentinamente nel nulla, e uno sguardo sospettoso si librava nell'aria.

Così, quando la professoressa Anelise Harris del corso principale di Fiction ci disse di pensare alla storia che avremmo voluto raccontare, avevo repentinamente pensato ad Arnold Root. Non che ci sentissi una qualche particolare connessione, non ne sapevo ancora niente, ovviamente, ma mentre tutti i miei compagni sembravano voler scrivere di se stessi e della loro storia personale, io la mia l'avrei solamente voluta dimenticare, buttare nel cestino e chiudere per sempre il coperchio.

Dunque avevo cercato informazioni sul suicidio di Arnold Root, e prima di riuscire quanto meno a fermarmi mi ero ritrovata a fissare delle foto che qualche pazzo giornalista era riuscito ad avere direttamente dall'ufficio del coroner. Era totalmente illegale? Probabilmente sì.

Mi avvicinai allo schermo luminoso col viso come se fossi riuscita a guardare più attentamente, perché non riuscivo ad ingrandire l'articolo. Strinsi le labbra, tesa, camminando veloce sul marciapiede, trascinata dal flusso di persone che andava nella mia stessa direzione.

Pareva una serie tv, uno di quei gialli a puntate con Richard Castle, Patrick Jane o persino la dottoressa Brennan di Bones. Sì, forse era decisamente una puntata di Bones. La foto era volutamente censurata, ma era ovvio che l'uomo disteso sul parquet fosse Arnold Root e che quello sotto di lui fosse un enorme lago di sangue color carminio. Il volto era totalmente censurato e in parte ringraziai chiunque l'avesse fatto, perché sarebbe stato di certo traumatico. Da quello che si era capito nel caos dei giorni precedenti l'avvocato Root si era sparato in faccia. Eppure la pistola era scivolata lontana, era diventata un puntino nero non lontano dalla sua mano, ma nemmeno era stretta tra le dita.

C'era qualcosa di strano, ma in fondo chi ero io per poter dire come funzionava il rigor mortis? Non avevo mai studiato niente del genere, mi era capitato solo di lavorare nella cronaca nera del giornale locale di Pittsburgh.

Dimenticai presto quelle fotografie.

Entrai all'interno del Clayborne, abbagliata dagli archi e dalla pietra con cui erano costruite le colonne. Abbagliata dal luccichio del pavimento.

«Scusa? Chi saresti?»

Sollevai la testa dallo schermo del telefono giusto per rivedere la faccia della portinaia. Era sempre la stessa, in realtà, la stessa signora dal volto tondo e i ricci rossi.

CLAYBORNE BLUESWhere stories live. Discover now