20. buried loneliness

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Il telefono squillò

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Il telefono squillò.

Vibrò sulla coperta accanto a me, insistente, il suono vibrava nell'aria, leggero e fastidioso al tempo stesso. Lo bloccai la prima volta per zittirlo, ma quando arrivai alla seconda, che avrebbe dovuto chiudere la chiamata, mi soffermai per un istante a fissare quelle quattro lettere, papà, che ormai regnavano sovrane sul display del mio cellulare. Ogni volta che suonava non dovevo neppure più preoccuparmi di controllare, perché sapevo di trovarci lui.

La chiamata si chiuse da sola, insieme a tutte le altre.

Sospirai.

Il display si spense, e rialzai lo sguardo sulla finestra.

Un muro compatto di nebbia aveva avvolto New York. Tutte le luci erano già accese, anche se era solo pomeriggio, ed erano diventate bagliori forti, indistinti e accecanti, mentre tutto il resto scompariva nel nulla, inghiottito da quel grigiore opprimente.

Sapevo che avrei dovuto fare qualcosa. Avrei dovuto fare qualsiasi cosa che non fosse starmene lì, sul letto, seduta a gambe incrociate con il mio quaderno degli appunti davanti, e i libri dell'università sparsi lì accanto, chiusi. Ma non riuscivo a concentrarmi su nulla. Si erano succeduti così tanti avvenimenti, e non riuscivo a pensare ad altro che al biglietto ricevuto, e alla conversazione con la detective Tao. E allo stesso tempo la mia mente volava lontana, verso papà, Shanghai, la mia infanzia, e i dubbi che i miei ricordi fossero appannati da quello stesso velo di nebbia che regnava fuori dalla finestra mi rendeva tutto più difficile.

Avevo come l'impressione di ricordare solo ciò che volevo ricordare, come fino a quel momento avevo biasimato la mamma per non essere stata mai abbastanza presente, quando in realtà si faceva sempre sentire e vedere appena tornavo da un viaggio con papà. E sempre fino a quel momento avevo pensato che papà avesse messo sempre me al primo posto, quando in realtà ero stata io a mettere lui davanti: prima dei miei studi, delle mie amicizie, persino delle mie relazioni, perché sapevo che Peter gli sarebbe piaciuto. Avevo sempre voluto essere la figlia modello, perfetta, di cui essere fieri ed orgogliosi. E lo erano, papà e la mamma lo erano, ma io non ero più sicura che in quel modo sarei stata felice.

Il telefono squillò di nuovo.

Sbuffai, stavo per spegnerlo ancora prima di rifletterci, stanca di tutte quelle notifiche, ma sul display non trovai quelle familiari quattro lettere.

No, la persona che mi stava chiamando non aveva assolutamente niente di familiare, ed anzi non avrei nemmeno dovuto avere il suo numero salvato nella rubrica, ma lo avevo fatto solo per scrupolo, quando mi era stato dato il biglietto da visita.

Afferrai il cellulare e lo portai all'orecchio.

«Detective?» chiesi, timorosa.

«Amelia» mi salutò lei, senza quel senso di oppressione che mi stringeva la gola. «Va tutto bene?» chiese.

CLAYBORNE BLUESWhere stories live. Discover now