16. reassuring crime novels

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Fino a quel momento non avevo idea di come fosse la camera di Dante, visto che non ci ero mai stata e non avevo nemmeno mai avuto modo di sbirciarla quindi, anche se avrei voluto essere sorpresa, non lo ero

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Fino a quel momento non avevo idea di come fosse la camera di Dante, visto che non ci ero mai stata e non avevo nemmeno mai avuto modo di sbirciarla quindi, anche se avrei voluto essere sorpresa, non lo ero. Era come lui: cupa, enigmatica e decisamente incasinata.

Forse avrebbe potuto dire la stessa cosa della mia, in realtà.

Neanche lui sembrava aver disfatto le valigie, anche se era lì da molto più tempo di me. Le mensole erano vuote, i muri anche. Niente poster e niente fotografie, niente diplomi incorniciati. C'erano solo una panca e i pesi in un angolo, le tende tirate che lasciavano filtrare un flebile accenno di luce, e un armadio da cui traboccavano i vestiti, che fossero sulla scrivania, sulla sedia o persino a terra. Un libro era lasciato alla sua solitudine sul tavolo insieme ad un paio di penne. Un comodino era completamente vuoto e l'altro sembrava un labirinto fatto di fili tra caricatore del telefono, cuffie grandi e cuffie piccole, e qualche altro cavo non bene identificato.

Il suo naso mi sfiorò il profilo del collo, strappandomi ai miei pensieri.

Sorrisi, stupidamente, affondando con la guancia nel cuscino e trovandomi a sfiorare il suo naso col mio.

Anche il suo sorriso era lì. Le labbra sottili distese, gli angoli della bocca lievemente sollevati in un'espressione rilassata, dove gli incubi non lo stavano tormentando. Avrei voluto chiedergli che cosa fosse quella C che aveva tatuata sul cuore, ma avevo come l'impressione che fosse qualcosa legato all'hockey. Così, semplicemente, non dissi niente.

Mi allungai al suo fianco per farmi più vicina, raggiunsi le sue labbra in silenzio e socchiusi gli occhi, mentre con la punta delle dita gli accarezzavo la guancia. Il suo sorriso si spense momentaneamente quando il mio respiro gli solleticò le labbra, prima che arrivassimo a baciarci lentamente.

«Come siamo arrivati qui?» sussurrai, col timore di spezzare l'incantesimo.

Dante risollevò le palpebre e mi guardò divertito. «Con le gambe, per lo più».

Lo colpii con un pugno sulla spalla. «Ah! Grazie, questa sì che è una rivelazione».

Lui rise di una risata roca, socchiudendo gli occhi e godendosi la mia espressione offesa da quell'angolazione tutta sua. Feci per tornarmene da dove ero venuta, ma Dante, che mi teneva con un braccio intorno alle spalle, mi bloccò contro il suo petto attirandomi a sé.

Protestai, ma mi baciò di nuovo e mi zittii in un attimo.

Sospirai piano contro le sue labbra.

«Ci voleva un'effrazione per farti sciogliere» mormorai.

«Per farmi sciogliere?» chiese lui, risollevando le palpebre.

Mi sistemai meglio sul suo petto, con il mento sulle mie mani una sopra l'altra, mentre lui disegnava figure astratte sulla mia schiena, lentamente, sotto le coperte.

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