18. got your back

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Definiti per sempre dalle scelte degli altri

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Definiti per sempre dalle scelte degli altri. Può essere possibile? Può un essere umano essere definito e segnato per tutta la vita da una scelta compiuta da qualcun altro, un altro essere umano con pregi e difetti, che può compiere a sua volta una scelta giusta o sbagliata?

Avevo sempre creduto che mio padre fosse un ottimo padre, nonostante tutto. Non era un padre assente, né disinteressato, e nemmeno violento. Vedevo le mie amiche lamentare il comportamento dei propri padri e mi chiedevo come potessi essere stata io così fortunata. E allo stesso tempo, così sfortunata ad aver perso la mamma. Per un periodo, da piccola, avevo anche creduto che se ne fosse andata per colpa mia, per qualcosa che avevo fatto. Avevo pianto per settimane. Papà mi aveva presa sulle ginocchia, sul letto, mi aveva abbracciata forte e mi aveva confortata, perché non era colpa mia.

No, era colpa sua.

Ma questo non me l'aveva detto.

Seduta sul pavimento, con le spalle contro il bordo del letto e le gambe strette al petto, la fronte contro le ginocchia perché non avevo davvero nessuna intenzione di rivolgermi al mondo, pensai di essere fregata. L'avevo sempre pensato in realtà, avevo sempre pensato di essere stata fregata, in qualche modo, un modo così profondo e legato alla mia identità che non sarei mai riuscita a togliermi quel segno di dosso. Avevo sempre pensato di essere marchiata a vita, il trauma dell'abbandono, o qualcosa del genere. Solo che l'avevo visto dal lato sbagliato, o semplicemente l'avevo visto senza vederlo davvero, quel trauma, e ora mi sembrava un pozzo buio di cui non vedevo il fondo.

Il telefono prese a vibrare sul parquet accanto a me. Semplicemente lo ignorai. Inspirai a fondo, con le lacrime che si intrecciavano alle mie ciglia e si impigliavano prima di morire nella trama del tessuto dei jeans. Poi la suoneria ricominciò. Da capo, riprese a vibrare sul pavimento, il cellulare quasi si spostò leggermente, e fu quell'insistenza a farmi sollevare la testa.

Grugnii.

Non avevo di certo voglia di rispondere a mio padre.

Anche quella chiamata arrivò al suo termine. Il display si illuminò nuovamente nel tornare alla schermata iniziale, in cui le notifiche si mostrarono in tutto il loro splendore, con le cinque chiamate perse di papà e qualche altra cosa che non lessi nemmeno.

Sbuffai e tornai a chiudere gli occhi.

Dopo l'appartamento di Root, la cartellina, e le lacrime, mi ero seduta semplicemente al tavolo della cucina ad aspettare. Avevo aspettato come le mamme aspettano apprensive il ritorno dei figli adolescenti la notte, in ciabatte e vestaglia, alla fioca luce della casa, una camomilla tra le mani per distendere i nervi. Solo che non avevo nessuna camomilla, e il sole era ancora alto nel cielo.

Dante si era seduto invece sul divano e aveva preso il cellulare tra le mani. Come per un tacito accordo mi aveva lasciato con i miei pensieri. Aveva capito che magari gli avrei spiegato tutto più avanti. A me bastava sapere che era lì, da qualche parte, nella stanza.

CLAYBORNE BLUESWhere stories live. Discover now