8. Telefono

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Jo era decisa a riaccopagnarmi a casa dopo che le ebbi riferito l'accaduto e anche la visione di quella mattina. Ovviamente solo dopo che me ne ero ricordata.

Inizialmente pensavo che mi avrebbe data della paranoica, ma invece ci credette. Jo era vigile mentre scendavamo nel sottopassaggio verso le metropolitane. Si guardava intorno e scrutava la gente.

«Ho sempre pensato che le metropolitane fossero scomode»  mi disse Jo mentre passavo l'abbonamento al divisore.

«Se voglio tornare a casa, questo è l'unico modo» affermai.

«Certo che tua madre è un controsenso. Da una parte è così protettiva che non ti permette nemmeno di uscire a fare shopping, che credimi, ti servirebbe, ma dall'altra ti lascia andare e tornare da scuola da sola» mi disse.

Alzai gli occhi al cielo e sospirai, sistemandomi lo zaino sulle spalle e i lunghi capelli scuri da un lato.

«I miei lavorano entrambi e non possono materialmente venirmi a prendere e portare, non ha scelta. Fosse per lei mi starebbe sempre addosso» feci una pausa per poter salire sulla metro. «E poi non hanno niente che non vanno i miei vestiti. Sempre meglio che vestirsi costantemente di nero» la rimbeccai accarezzando la mia giacca sportiva a quadri neri e porpora.

«Il nero è elegante e figo» replicò scuotendo la testa come se stesse parlando con un ignorante.

«E io mi vesto casual, dov'è il problema?» sbuffai.

In quel momento la metro stridette e persi l'equilibrio.

Qualcuno mi afferrò e mi rimise in piedi appoggiandomi una mano sulla schiena. Mi voltai per ringraziare il mio aiutante, ma non seppi chi fosse stato.

Nessuno mi prestava attenzione. Così tornai a concentrarmi su Jo che stava guardando un punto dietro di me.

«Tutto okay?» le chiesi.

«Aspettami qui» mi ordinò.

«Ma fra...» Ma non mi lasciò finire di protestare che prese a spintonare la gente in piedi per andare in fondo al vagone. «la prossima fermata è la nostra» terminai borbottando a me stessa.

Quando la metro si fermò, scesi nonostante Jo non fosse ancora tornata. Mi dispiaceva disobbedirle (forse non così tanto), ma non volevo che mia madre mi rimproverasse per essere arrivata tardi a casa. Già il giorno precedente ero stata incredibilmente fortunata.

Comunque le avrei potuto spiegare i miei motivi per messaggio. Mia madre faceva più paura di lei, avevo le mie priorità.

Dopo essere salita in superficie e allontanata dalla calca di gente, infilai la mano nella tasca per cercare il mio telefono ma trovò solo il vuoto.

Ebbi il panico di averlo perso nella metro con tutta quella gente, ma per esserne sicura provai a cercarlo anche nello zaino.

Mi chinai nei pressi del marciapiede, ma proprio mentre frugavo tra i libri, qualcuno mi urtò alle spalle facendo sparpagliare tutti i miei oggetti a terra. Imprecai.

«Ehi, tu!» gridai infastidita al ragazzo che mi aveva urtata, ma quello si stava già allontanando di corsa, stretto nella sua sciarpa di lana e il cappello verde del medesimo materiale.

«Ma tu guarda 'sto stronzo» borbottai mentre rimettevo a posto la roba nel mio zaino. Mi rendevo conto di essere proprio al centro del marciapiede, era inevitabile che uno di fretta mi urtasse. Tra gli oggetti sparsi per terra, c'era fortunatamente anche il mio telefono che presi e appoggiai al petto, sospirando sollevata.

Controllai che non fosse rotto e me lo infilai in tasca, tastandolo con le mie dita gelate.

Mi avviai verso casa, di umore nero e giunsi alle porte della mia dimora senza intoppi.

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