18. Interferenze

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Era assurdo avere paura di tornare a casa.

Eppure, quasi tremavo quando mi ritrovai davanti al portone.

Mi avrebbero riempito di domande alle quali non avevo ancora inventato scuse decenti.

Che razza di figlia degenera.

Ma mentire ai miei genitori, mia madre soprattutto, era ormai diventato uno stile di vita. E per quanto mi sentissi in colpa, continuavo a farlo.

«Sono tornata!» esclamai appena ebbi varcato la soglia di casa.

«Sofficina! Tesoro mio! Quanto mi sei mancata!» esclamò mia madre fiondandosi su di me e abbracciandomi.

Quando finalmente mi lasciò respirare notai che era vestita per andare al lavoro e accanto a lei c'era una valigia.

«Devi partire per lavoro?» chiesi sorpresa.

Mia madre solitamente cercava sempre di portare il lavoro a casa, ma talvolta le diventava inevitabile dover partire per qualche giorno per seguire alcuni clienti importanti.

«Oh, no. In realtà sono tornata da poco anche io» fece lei sorridente tirandomi verso il sofà.

«Ma dimmi un po'. Com'è andata? Che avete fatto? Voglio sapere tutto nei minimi dettagli» esclamò la donna.

«Uh, be'...» ecco la resa dei conti.

Era il momento decisivo per inventare una delle bugie che i miei genitori avrebbero ripescato all'infinito e io sarei dovuta essere abbastanza dettagliata e avere una memoria abbastanza buona da ricordarmi tutto.

«È stato istruttivo e divertente. Gli insegnanti ci hanno messo a nostro agio e anche i dormitori erano comodi. Non ho niente da ridire. Potrebbe essere un'ottima scuola per me. Ma non voglio decidere così in fretta.» conclusi dosando le parole.

Prima che mia madre avesse l'opportunità di farmi l'interrogatorio, la suoneria del suo telefono mi salvò.

Lei alzò un dito e rispose.

«Pronto, Max?»

Approfittai della situazione per fuggire in camera mia.

Avrei potuto iniziare un nuovo libro, però ero rimasta indietro con i compiti e avrei dovuto recuperarli.

Jo era partita con me e l'unico altro individuo che seguiva tutti i corsi era Eric White.

Sarei stata obbligata ad affrontarlo di nuovo.

L'unica nota positiva era che eravamo per telefono e potevo attaccargli la chiamata in faccia se la situazione si fosse fatta tragica.

Presi coraggio e chiamai quel ragazzo che pretendeva da me una fidanzata.

«Pronto

«Pronto? Eric? Sono io, Sophie. Sophie Hunter.» Avrei preferito che non rispondesse...

Ma i compiti non si fanno da soli.

«Oh, Sophie, hai bisogno?» chiese lui sorpreso.

Respirava a fatica, forse era appena tornato da una corsa.

«Sì, beh, volevo chiedere se i professori avessero assegnato qualche compito o test...» chiesi.

«Ah, vero che ieri sei stata assente. Comunque tranquilla, che io sappia, sono stati abbastanza clementi.» ridacchiò.

«Sul serio? È un piacere saperlo. Allora ci si vede. Grazie mille!» mi affrettai a salutarlo per concludere la chiamata il prima possibile.

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