39. Sentirsi a terra

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Aprii gli occhi perché mi mancava il respiro.

Parete. Parete. Parete.

Non c'era via d'uscita.

Il terreno era secco e duro e puzzava d'umido. Non vedevo niente ma le mie dita lo sentirono.

Prima di andare nel panico e spaventarmi a morte o cercando di uscire spezzandomi tutte le unghie, piansi. Non c'era molto da fare.

Gridai e diedi violenti pugni al terreno sopra di me che mi sbriciolò in faccia.

Non c'era nemmeno troppo spazio per muovermi.

Desideravo solo che qualcuno mi salvasse, che mi liberasse. Non riuscivo più a pensare lucidamente. Stavo per andare fuori di testa.

Non soffrivo di claustrofobia, eppure quella situazione me la stava facendo venire.

I miei continui pugni smossero il terreno e un briciolo di speranza folle e disperata si accese in me.

Per poco percepii tutta la terra che pesava sopra di me, assieme alla mia adrenalina, e in un secondo momento quella sparì.

I miei occhi si socchiusero per l'improvvisa ondata di luce che fecero dolere i miei occhi.

Sbattei le palpebre ripetutamente, cercando di abituarmi al giorno. Alzai lo sguardo per guardare il cielo azzurro ricoperto di nuvole soffici.

Mi resi conto di trovarmi in fondo ad una buca.

Era abbastanza profonda e tutta la terra che prima mi pesava sopra sembrava esser stata svitata via come il tappo di una bottiglia di champagne.

Tossii per la polvere e mentre cercavo di rimettermi in piedi, caddi di sedere.

Dalla soglia del cratere spuntò un volto.

Non lo riconobbi in controluce.

«Seppellita viva. Che crudeltà.» commentò.

Capii subito chi fosse.

«James Sharp.» sibilai.

Ecco perché mi trovavo lì. Mi aveva rapita lui.

Provai una seconda volta a rimettermi in piedi e questa volta ci riuscii.

Ero ricoperta di polvere di terra dalla testa ai piedi, ma non ci badai.

«Brutto infame! Non la passerai liscia.» ringhiai a voce alta.

«Shhh potrebbero sentirti.» il ragazzo si accovacciò, in equilibrio sullo stipite.

Qualche pezzo di terra franò.

In realtà non sembrava per nulla preoccupato che gridassi o meno.

«È quel che voglio.» esclamai secca.

«Come vuoi.

Allora? Preferisci rimanere là sotto o vuoi che ti aiuti a venir fuori?» chiese in tono canzonatorio.

«Mi ci hai buttato tu qua sotto, brutto bastardo!» inveii furiosamente.

«La puoi smettere di aggiungere "brutto" ad ogni appellativo che mi dai? A dirla tutta sono piuttosto bello.» commentò con un cipiglio inarcato. «E poi non sono stato io a metterti in queste condizioni. E tu lo sai.» aggiunse sorridendo ampiamente, certo delle sue parole.

«Tu...» sibilai arrabbiata.

«Io...» imitò il mio tono. «Se fai la brava ti tiro fuori. Altrimenti puoi aspettare che i tuoi simpatici amichetti della B.L.C. fingano di trovarti qui per caso.» tese una mano verso di me.

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