3 // Pendragon

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La moto si fermò proprio di fronte all'ingresso della scuola, attirando l'attenzione di qualche freshman* incuriosito.
Diedi una pacca sulla schiena di mio fratello per fargli capire che stavo scendendo.
Toccai terra dopo un paio di balzetti per stabilizzarmi e mi tolsi il casco.

«Grazie del passaggio» dissi rimettendo il casco sotto il sedile della moto.

«Per ora è meglio che ti accompagni io. Ci sono delle persone violente nella nostra zona. La polizia potrà pure aver recuperato il cadavere di uno di loro ma devono ancora trovare l'aggressore e i suoi potenziali complici. Conoscendo la gente così, saranno così stupidi da farsi beccare entro qualche giorno»

«Non credo»

«Ah no? Allora facciamo così: se hai ragione tu, paghi le ciambelle per me e per te, se ho ragione io, le pago io. Ci stai?»

«Ci sto!»

Mi sorrise da sotto il casco. «Pronta per il tuo ritorno a scuola?»

«Con tutta sincerità, preferivo starmene a casa»

«Lo so, era divertente, ma ognuno ha il suo dovere da rispettare. Ora potrai finalmente divertirti a scuola»

«Divertirmi? A scuola?»

Gideon fece spallucce, tenendo alzata la visiera. «Io mi divertivo»

Roteai gli occhi. «Secchione» mormorai.

Poi gli diedi un abbraccio, facendo attenzione alla marmitta calda. «A dopo, Gideon»

«A dopo» Mi mise una mano in testa per scompigliarmi i capelli ma ci ripensò. «Ci vediamo all'uscita da scuola, mi troverai qui»

Sorrisi raggiante. «Mi piace questa nuova cosa dell'autista privato, anzi, del motociclista privato!»

«Non ti ci abituare troppo, è solo per adesso» Si portò una mano alla visiera. «Ti voglio bene. Passa una bella giornata, Morgs»

Non resistei all'impulso di dargli un altro abbraccio. «Ti voglio bene. Salutami Lidia!»

«Lo farò»

Abbassò la visiera e mi fece segno con la mano di andare. Non se ne sarebbe andato finché non mi avrebbe visto entrare nell'ampio portone di vetro della scuola.
Così salii rapidamente i numerosi gradini bianchi e leggermente crepati della scuola, facendo zig zag tra gli zaini enormi e i gruppetti di persone appostati lì e finalmente riuscii ad entrare.

Subito dopo, il rombo della moto riempì la strada di fronte alla scuola, per poi scomparire gradualmente man mano che si allontanava.

Andai a cercare il mio armadietto. Era da una settimana che mi chiedevo se avessi lasciato dentro il mio quaderno di storia o no. Perché a casa non lo trovavo da nessuna parte e non avevo il coraggio di ammettere di averlo perso. C'era ancora una piccola speranza e avrei coltivato quella piccola fiamma fino alla fine.

Io non sono una che perde le cose, l'unica cosa che ho perso in vita mia è stata una gomma diventata piccolissima e poi rotolata via dal mio banco, verso la sua gommosa libertà.

Individuai il mio armadietto blu e, presa dall'emozione e dall'ansia di non trovare il quaderno, aumentai il passo.

Nella foga del momento non mi accorsi di una ragazza che stava passando lì indisturbata per andare a prendere qualcosa nell'armadietto proprio di fianco al mio e le andai contro.

«Scusami!» dissi forse con voce troppo alta. Non mi ero accorta di averla anche afferrata per le braccia.

La ragazza, dall'aria piccola e fragile, mi guardò spaventata. Credo non si fosse aspettata un agguato, nessuno se lo aspetterebbe.

// PARALLEL //Where stories live. Discover now