Corro...Corro...

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CORRO...

Otto, nove...dieci....VIA!

Non calcolo più i battiti del cuore, ora bisogna correre come un etiope ad una finale di olimpiade, senza mai girare la testa per non perdere un solo secondo.
Mi insegue, sento che vuole soltanto me anche se tutti gli altri mi si affiancano con la faccia stravolta e impaurita.
Ci guardiamo senza diventare complici, ognuno per la sua strada, il pericolo è troppo alto per aiutarsi a vicenda. Scelgo il quartiere più agricolo, "Abbasc la terr", dove un contadino striglia il suo cavallo bianco, stanco dopo una giornata faticosa trascorsa a tirare un malconcio carretto di legno.
L'uomo mi guarda attonito, vorrebbe intervenire mettendomi fuori pericolo ma corro, corro come una freccia, sfuggo da tutti e raggiungo la via in pochissimi minuti. Spalle al muro mi blocco per respirare. La porta del caseificio è sempre aperta, l'odore di mozzarelle appena intrecciate dalla signora coi mustacchi agevola il mio voltastomaco.
Il vecchio castello con una porta disfatta mi attrae pregandomi di entrare. Basta una spallata e riesco a penetrare senza nessun permesso e senza pensare alle conseguenze.
Dentro è buio pesto, l'odore è antico, non vedo più nulla e con l'avambraccio proteggo il mio naso. Cerco di conquistare un nascondiglio sicuro ma una figura ansimante appare dal nulla con le mani in alto in segno di resa. E' Salvatore. Lo disprezzo, mi ha preceduto, spero sia catturato presto. Lancio uno sputo senza colpirlo, meglio uscire rapidamente, tirare dritto e continuare a correre. I polmoni vorrebbero esplodere ma devono avere pazienza. Allargo le narici, stendo il braccio sulla fronte per asciugare il sudore, comunque una goccia penetra nei miei occhi accecandomi.
Mi piego sulle ginocchia sbucciate, rimango fermo per riprendere fiato e la Graziella nuova di Gennaro apparsa dal nulla mi ridona speranza.
Non è ancora finita, posso farcela. Balzo su con un piede, lo abbraccio stringendo il suo collo da tergo, elemosino un passaggio.
Il gigante buono non parla, ha capito tutto. E' grande e grosso, ma non ha mai fatto del male a nessuno, posso fidarmi.
Muove le sue labbra come a voler formare un sorriso, solleva lo sguardo in aria, cambia espressione sul volto, si incattivisce, alza la ruota posteriore della bici e carica una forza sovrumana nelle sue gambe.
Parte furioso ricavando una velocità sorprendente ad ogni pedalata. Mi accompagna in fretta all'estremità del paese, in "mezzo all'era", vicino la villa comunale dove mi inginocchio davanti ad una fontana che finalmente placa la mia arsura. "Gennarino" mi osserva contento, non apre ancora bocca, abbassa il capo mentre si allontana spingendo i prodigiosi piedi ai pedali: la sua missione e' finita, è ora di ripartire, è ora di mettere in salvo qualcun altro. Ringrazio il mio alleato mostrando i denti e arricciando il naso.
Mi siedo comodamente sui gradini di marmo, qui sono al sicuro, non riuscirà a trovarmi, troppo lontano e davvero pericoloso per "lui" dato che i camion in viale Chiatona sfrecciano non curanti delle persone che tentano di attraversare invano la strada.
Devo studiare l'itinerario migliore per ritornare. Il sottopasso è distante centinaia di metri, meglio evitare, ha spesso il cancello chiuso e la puzza di piscio è nauseante.

«Vé tutt buen?»

Non sono più solo, il mio testimone di battesimo, U Nunn, ha notato preoccupazione nei miei occhi, mi soccorre come un padre.

<<Sì, va tutto bene!>>

Non posso certo raccontargli cosa sta succedendo e lo rassicuro con una scusa ed un sorriso. Quando è necessario so fingere bene. Scambio due parole di circostanza, faccio ancora finta di niente mentre osservo una giovane mamma che spinge la carrozzina desiderosa di accompagnare il suo pargolo nella villa comunale. So già che li attende una vasca zeppa di pesciolini rossi e un gobbo custode che continuerà a lagnarsi dell'ennesima panchina rotta dai vandali la sera prima. E un incontenibile senso di colpa mi assale riportandomi alla cruda realtà: hanno bisogno di me, devo salvarli, solo io posso farlo, non è ancora finita, devo farmi coraggio e proseguire fino alla fine, altrimenti non me lo perdonerei per tutta la vita.
Forza guerriero, forza!

Saluto il mio compare con un bacio sulla guancia. Intanto quattro ragazzi figli dei fiori riconosciuti da tutti come "Anarchici" guadagnano il nostro gradino, non aspettavano altro che sfilarci il posto. Uno di loro afferra i suoi capelli lunghi prima di poggiare bocca sul tubo della fontana che fuoriesce dalla bocca di un leone , un altro sbriciola tabacco fra le sue mani con un filtro di cartone tra le labbra. L'altro sogghigna mentre mangia con gli occhi una copertina dei "King Crimson". L'ultimo ride e basta.

Inizio a camminare, passo spedito in viale Stazione, dove la stazione non c'è! M'intrufolo rapidamente nelle stradine del cinema "Surico", Filippo sta già montando la pellicola porno del film di stasera. Urlo nell'aria il suo nome per schernirlo mentre faccio attenzione a non scivolare sulle chianche stanche e rese lisce dal peso di uomini passati nei vari secoli. Il fornello della macelleria di Mazzarrino sprigiona gustose fragranze nella mia mente, e
da una porta, alla mia destra, sento gridare il medico del paese, don Arturo: «Avaaaantiii».
E proprio da una saracinesca più avanti Minguccio è concentrato a finire i suoi gelati artigianali. Ormai sono arrivato in piazza.
L'imperioso palazzo rosso con il suo orologio fermo è fiero davanti a panchine in pietra sotto l'ombra di oleandri secolari. Geremia corre anche lui, ma in senso opposto al mio, ride inconsapevole mentre arruola tutti per l'imminente guerra. Eliot strimpella la sua chitarrina cantando la Bibbia. Vituccio del bar si fa aiutare da Agostino a spostare da un vecchio camioncino il nuovo flipper appena arrivato.
"Z Lin" rientra piano piano nella sua tabaccheria dopo aver cercato invano l'uomo che gli ha rubato un pacchetto di Diana. Fernando intanto si lamenta a bassa voce:

«Da chi ha preso il figlio mio che Ta... Tar... Tart... tartaglia sempre».

Il fabbro del paese, chiamato da tutti CENTRONE, il grande chiodo, batte distrattamente il martello sull'incudine mentre lancia uno sguardo interessato al fondoschiena di Memena in minigonna, lasciandosi andare a un apprezzamento volgare che fa sorridere  i suoi vecchi clienti.

Erasmo espone fuori il suo bazar stile marocco i nuovi "super santos" racchiusi in una gigante rete.

Intanto sono vicinissimo alla chiesa Madre, tremo. Da questo momento il pericolo che possa beccarmi senza avere via di scampo mi fa vacillare nervosamente. Tonio è stato distrutto anche se correva come un puma, Salvatore non riesce a consolarsi: è stato appena polverizzato da uno strillo impietoso. Sono rimasto solo, ma la dignità mi obbliga a continuare,fermarsi non è più possibile. Prego il Signore affinché mi dia la forza di andare avanti. Chiudo gli occhi, carico tutto il fiato rimasto in gola e corro, corro per via De Gasperi senza guardare il vigile malizioso in bicicletta che, barcollando, quasi mi travolge. L'ufficiale con il cappello bianco, sotto il braccio ha un pallone appena sequestrato ai bambini che giocavano per strada senza disciplina. Mi fermo solo un attimo per chiedergli scusa, mi distraggo e... poi...poi...

poi accade l'inevitabile.

«Mozzareeellaaaaaa! Ti ho beccato!».

Vincenzo Lo Scorvo mi ha scovato, è il mio amico-nemico di sempre. Ulula mentre scappa come un animale verso la sua tana.
E io corro, corro per superarlo.
L'ultimo salva tutti, è la regola più conosciuta al mondo. Filiamo veloci spalla a spalla.
Schivo la sua maschera malefica da cacciatore indios ma non il suo perfido piede che tocca il mio tallone.
Inciampo nella sua trappola, lui ne approfitta e batte la sua piccola mano sul grande portone della chiesa, casa del mio protettore distratto. Sprofondo al centro della terra dove gli inferi mi accolgono con cattiveria. No, non ce l'ho fatta, non sono riuscito a salvarli.

A nascondino non voglio giocarci mai più!

E piango, piango,piango.

E allora sogno.











TANTA VOGLIA DI LEIWhere stories live. Discover now