L' INSONNIA

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Troppo presto sono andato a letto ieri sera. Mi sento sveglio come un neonato con gli occhi sbarrati nella notte. Domani sarà il primo giorno di scuola superiore, l'emozione mi gioca brutti scherzi e il sonno è volato via lasciandomi in questo letto a due piazze dove mio fratello è riuscito a conquistare un terzo dello spazio disponibile. Il sonno è del tutto assente, anzi, mi sento carico di energia, perfettamente in forma. Non mi capita spesso di essere colpito da un attacco d'insonnia, quando succede cerco di concentrarmi, tento di riaddormentarmi pensando al mare, alle onde schiumose che raggiungono la spiaggia bagnando i piedi di una bella ragazza solitaria. Ma questa volta nulla da fare, mi agito invano attivando l'effetto contrario. E non mi rimane che giocare a mosca cieca con la mano fino a quando afferrando la bottiglia di vetro al mio fianco riesco a bere una sorsata d'acqua e mi lascio trasportare passivamente a pensieri bizzarri che durante il giorno rimangono nascosti nella testa. Come quando m'incammino da solo nella pineta di Ventidue a cercare funghi, passeggiando senza fretta con un secchio di plastica celeste che mio padre ha ricevuto in regalo dall'omino che ricicla ferro. Un signore alto, magro come uno scheletro, che dà l'impressione di potersi spezzare in due alla prima ventata di tramontana. Nel mio bosco mi sento sicuro, lo conosco come le mie tasche, osservo la vegetazione accostando gli occhi come una talpa e sciolgo la mente lasciandola libera di produrre pensieri di nulla e nello stesso tempo di tutto mentre procedo spingendomi nella pineta, senza paura di smarrirmi. E' la ricerca degli "artari" una delle mie passioni. Questi funghi, con un cappello rosa schiacciato al centro, per noi sono rari come i porcini in montagna, i più indicati da cuocere alla brace o friggere con la pastella.

Da piccolo li portavo a mia nonna e lei era contenta. Ricambiava lanciandomi un paio di fichi secchi e dopo aver rovistato perbene nell'antica cassapanca, tirava fuori le inconfondibili caramelle al latte ripiene di mou. Conosceva bene i miei gusti, a differenza del nonno che, fra l'altro, mi scambiava sempre per mio cugino Vincenzo! Non ricordava mai il mio nome tra i tanti nipoti che i suoi sette figli gli avevano regalato.

«Vincè, lascia il secchio vicino il braciere che tra poco questi funghi li metto sulla graticola ad arrostire, poi prendo una bottiglia di vino primitivo che ha fatto tuo padre e ...me ne vado a letto a dormire contento!».

Eccole!

Memorie prive di un senso logico risalgono a galla. Scene vissute, vaganti. Stanotte mi tocca vivere da spettatore. Incatenato. Schiavo. Costretto a subire lo spettacolo che l'inconscio propone senza il mio consenso. La mente umana è davvero un misterioso mondo dove cellule intelligenti si divertono a prendersi gioco di noi. Accetto questa realtà e mi abbandono sul guanciale.

Mio Dio che fame! Ecco, succede sempre così. Quando mi sento agitato ho voglia di mangiare qualsiasi cosa.

Ma e' troppo presto per alzarmi, le friselle sono state già divorate da mio fratello Piero ieri sera. Quando torna dalla ginnastica, nell'associazione Fides, ingurgita tutto ciò che trova di commestibile. Potrei sostituirle con pane secco bagnato nell'acqua, condirlo con olio e pomodorini, ma... rischierei di gonfiare la mia pancia già provata dall'emozione. Pazienza, aspetterò fino a domani mattina quando una zuppa di latte fresco, lasciato dal pastore in bicicletta che lo consegna a domicilio, sarà servito bollente nella mia scodella di ferro con biscotti a tre buchi. Sono i più gustosi. Così buoni che a scuola elementare li nascondevo nella cartella mangiandoli furtivamente durante le lezioni della mia brava maestra. Lei era bellissima, non ancora trentenne... mi piaceva! Aveva un metodo d'insegnamento moderno e a differenza di altri suoi colleghi non usava la bacchetta di legno da picchiare sulle mani. Una novità per la mia scuola. Urlava raramente e invitava allo studio usando parole dolci in lingua italiana senza alcuna cadenza dialettale! Insisteva nel farci comprendere l'importanza della cultura soprattutto in un paese come il nostro genericamente agricolo. L'adoravo a tal punto che la mattina non vedevo l'ora di incontrarla. Il chilometro di distanza che divideva casa da scuola non terminava mai e la cartella appesa alla mia mano diventava sempre più pesante passo dopo passo! Alcuni giorni sembrava uscita dal mensile «Vogue», alla moda, come il pantalone rosa e il nastro celeste legato molto alto tra i capelli biondi ossigenati. Sempre truccata con sobrietà, sfoggiava la sua eleganza con gran classe attirando gli occhi scombussolati e un po' viscidi dei colleghi ultra quarantenni. M'incantava quando insegnava geografia. Apriva i suoi libri segreti e leggendo ad alta voce, come una fata, raccontava di luoghi misteriosi e poco conosciuti distanti chissà quante migliaia di miglia da questo mio paese abbandonato da tutti! La passione che sprigionava attraverso la voce delicata catturava la fantasia, e ogni volta nella mia mente partiva "Parsifal", un LP dei Pooh che adoro ancora adesso! A ogni sua lezione mostrava una cartolina e, mentre l'ascoltavo, viaggiavo senza nessun biglietto da pagare; a volte su un battello, altre su una mongolfiera colorata d'inizio '900. Il sabato mattina entrava in classe sorridendo con in mano delle costose riviste patinate acquistate dall'edicola di via D'Aquino, in città a Taranto. Le comprava soltanto per me. Io, ero...ero affascinato e ad ogni pagina che sfogliavo, scoprivo nuove cascate, villaggi, grattacieli, e perfino le più alte montagne d'Oriente divenivano meno faticose da scalare mentre fantasticavo di saltare in groppa a strani quadrupedi chiamati yak. E poi amava la capitale inglese. Riuscì a contagiarmi la sua passione con impeto e da allora sogno spesso di vedere Londra con il suo Big Ben passeggiando tra distinti signori con ombrello e bomber lungo le sponde del Tamigi. Si, ora la amo anch'io questa città. Sono certo che da adulto noleggerò una roulotte per attraversare tutta l'Italia fino ad arrivare in Francia e... con la nave raggiungerò l'isola della Gran Bretagna e... dalle bianche scogliere di Dover tirerò dritto per il centro della metropoli inglese per osservare da vicino l'orologio sopra la cattedrale di Westminster. E... e finalmente verificherò che segni l'orario giusto. Non come il nostro in piazza, fermo da tre mesi, con le lancette fisse sempre sulle dieci e dieci!

Sono certo che sarà un lungo e piacevole viaggio.

Come quando a soli dieci anni mi recai in Lombardia. L'unico viaggio consumato fino ad ora. Vabbè, a parte due anni fa quando con zio Nino che guidava la sua potente fiat 124 raggiungemmo faticosamente Monopoli con l'acqua del radiatore che durava giusto il tempo di fermarsi da una colonnina all'altra. Ci muovemmo per ritirare mio fratello dalla caserma e riportarlo finalmente a casa sano e salvo dopo il congedo di leva. Come fui contento di rivederlo! Lui invece mi salutò appena e, salito in macchina, si abbandonò ad un rilassato pianto liberatorio sbarrando gli occhi fissi nel vuoto. Raccontava lentamente un anno di grossi sacrifici fra gavettoni, nonni, mensa con scarafaggi, mitragliatrici vere sul carro armato e ore e ore di noia che impiegava rivestendo penne bic con fili colorati. Poi si calmò e diede uno scatto violento con la testa. Le pupille si rimpicciolirono, lo sguardo tornò normale, smise di raccontare, prese fiato e iniziò a fischiettare "Yesterday" dei Beatles. Mi venne un grosso magone alla gola vederlo in quello stato. In poco tempo riuscì a trasmettermi il terrore del servizio militare che, a pensarci bene, un giorno mi toccherà prestare in qualche posto sconosciuto dell'Italia del nord. Magari la destinazione fosse Milano! Sarei più sereno, non mi lascerei andare a frequenti crisi di nervi come è successo a Tonino, il fratello del mio compagno Enrico, che si è dato un colpo di martello sul ginocchio pur di tornare a casa con una lunga licenza di tre mesi.









TANTA VOGLIA DI LEIWhere stories live. Discover now