IL POSTO GIUSTO

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Siamo arrivati, scendiamo tutti alla fermata all'ingresso del corso principale, davanti al "Capasone", il monumento dedicato al mito del cinema degli anni '20 Rodolfo Valentino che, con lo sguardo fiero nel suo costume da sceicco, mi ricorda che siamo nella "città del mito".

Mi ritrovo al centro di un turbinio di voci troppo alte che mi stordiscono: i decibel del mio udito diminuiscono bruscamente.

Pochi istanti e le voci sempre più ovattate e più lontane dei miei compagni di viaggio mi abbandonano a una solitudine che conosco bene, sono terrorizzato dall'emozione del mio primo giorno di scuola, accidenti!

L'istituto che frequenterò si trova in un vecchio edificio nel centro storico di Castellaneta, il paese vecchio, come lo chiamano tutti. Siamo rimasti in pochi, tutti amici e tutti al primo anno, in fondo non sono così solo. Ci incamminiamo nei vicoli stretti e lastricati di chianche levigate dal tempo, affrontiamo la prima lunga scalinata fra case con gli usci aperti da cui escono odori di stufato e polpette misti a tanfo di umido e di chiuso... dov'è il mio panino con la mortadella?

Poi una curva stretta stretta e siamo costretti ad appiattirci sui muri per far passare una Giulia che non accenna a fermarsi. Un'altra scala e qui dobbiamo fare attenzione a non calpestare gli escrementi dei piccioni che hanno fatto il nido sui davanzali di un malandato palazzo.

Ancora una curva e scorgo un'antica chiesa già aperta, dal portone di legno intagliato, nella poca luce che filtra dalle alte finestre intravedo tre anziane signore che recitano il rosario, forse nella speranza di lasciare questo mondo con l'anima pulita.

L'ultimo vicolo corto annuncia la presenza massiccia di altri studenti, siamo quasi arrivati nel piazzale antistante la scuola, si sente un vocio che diventa sempre più forte a ogni passo e immagino il tutto visto dall'alto: un formicaio.

Giovani studenti sbucano numerosi da ogni stradina, parlano dialetti apparentemente simili ma con cadenze diverse, tutto questo mi tranquillizza, a un tratto ho la sensazione di essere nel posto giusto e che in questa scuola, con questi ragazzi, la voglia di maturare in fretta otterrà buoni risultati.

Il mio umore cambia repentinamente, sono contento perché qui vivrò la mia vita, almeno per i prossimi cinque anni.

Inizio a sentirmi meglio, ora respiro come una persona viva.

Baci, presentazioni, strette di mano, risate, salti di gioia dei "vecchi" s'intrecciano a volti timorosi di debuttanti allo sbaraglio, chissà il mio com'è in questo momento,probabilmente da qualche parte in questo folto gruppo qualcuno lo sta notando osservandomi di nascosto. Io sto facendo lo stesso con quel ragazzino dai capelli lisci, gli occhiali neri e spessi che ingrandiscono in modo sproporzionato gli occhi, le orecchie grandi, con un solo quaderno in mano, oppure con la ragazza alta, di certo ripetente, avrà circa vent'anni, che fatica a rimanere in un ambiente per lei ormai vecchio: lancia schifata occhiate di disprezzo verso tutti.

Non è come l'incubo avuto questa mattina, non c'è la prof. di geografia davanti al portone che non è di ferro grigio, ma di legno, al suo posto un professore quarantenne, la cui voce robusta ma alquanto irritata distrae i miei pensieri, la sua barba diventa ispida come gli aculei di un porcospino mentre è costretto a gridare per elencare la formazione delle prime classi, aspettiamo solo il fischio d'inizio perché la partita cominci.

«Silenzioooooo! Non siamo mica alle scuole elementari! Quest'anno sarà diverso dagli anni precedenti!».

L'ultima frase è ripetuta in coro dai vecchi studenti che ben la conoscono, probabilmente sarà un suo intercalare.

Il mio nome è nella stessa lista di Lino e di Franco, tombola!

Ci sono poi Giacomo, Michele, Tonia e Mary che conosco bene. Vincenzo Lo Scorvo fortunatamente l'ho evitato, frequenterà il corso A, stringo i pugni, mio Dio, allora esisti davvero!

Alla fine siamo in ventidue in un'aula al primo piano con due finestre sopra la chiesa del '700, mi affaccio, sul piazzale noto le due vecchiette appena uscite con la corona del rosario ancora tra le dita, ora sentiranno l'anima più leggera, finalmente possono tornare a casa per preparare il pranzo tra i ricordi malinconici della loro vita che avvertono sfilare via a ogni ora che passa.

Lo scoppiettare del cerino sulla sigaretta appena accesa dal professore d'italiano mi distrae solo per un secondo, ritorno a scrutare i miei nuovi compagni di classe uno per uno, prima ci parliamo solo con gli sguardi, poi ci presentiamo in silenzio, alcuni abbassano gli occhi per timidezza, io stranamente sono sereno, sento che quest'aula già mi appartiene, proverò a diventarne uno dei protagonisti insieme a Lino che ha già colpito tutti appena sono entrati con il suo saluto.

È un cavallo di battaglia che ha già utilizzato in molte occasioni altrettanto imbarazzanti:

«Wagnù, pizz a tutti!».

Si riaggiusta il ciuffo e con la mano cerca il mio cinque.


TANTA VOGLIA DI LEIWhere stories live. Discover now