Capitolo 1

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Primo. Fottutissimo. Giorno. Di. Scuola.
Tutti diciamo di non veder l'ora di tornare per rivedere i nostri compagni e perché ormai l'estate ci ha stancato, ma -ed è un grandissimo ma- dopo pochi minuti seduti nel banco ci rendiamo conto di volere che arrivi la prossima estate, alcuni disposti anche a saltare il Natale, io non sono tra quelli. Ma comunque avevo imparato a godermi la prima ora del primo giorno di ogni anno scolastico.
Furono esattamente questi i pensieri con cui mi addormentai la notte, quelli che mi fecero sognare di prendere due in matematica interrogata dalla professoressa di greco e quelli che mi fecero svegliare alle sei del mattino... Che bello il primo giorno di scuola!
Mi ero alzata e avevo fatto colazione convinta che fosse ora di prepararsi, per realizzare solo dopo che era troppo presto, ma ormai era tardi per tornare a dormire, il mio cervello aveva già iniziato a lavorare e porsi quesiti quali: "perché esisto? Perché vado a scuola? Per quale cazzo di motivo qualcuno ha inventato la scuola?", andai a farmi la doccia, perché si sa che farsi la doccia è il modo migliore per smettere di fare strani ragionamenti esistenziali, ovvio! E proprio perché questa è la cosa più ovvia del mondo, quando uscii dalla vasca avevo in mente altre domande esistenziali quali: "Esistono gli alieni? E se esistono, vanno a scuola? O sono nati già intelligenti? Oppure sono degli analfabeti che preferiscono non auto infliggersi questa tortura? Per quale cazzo di motivo qualcuno ha inventato la scuola?" ma l'ultima mi sa che me l'ero già posta. Che tristezza!
Andai in camera e mi vestii, avevo voglia di Nutella, ma non c'era un valido motivo per mangiarla, fanculo, c'è sempre un valido motivo, così mi alzai e tornai in cucina presi il barattolo e feci retromarcia fino al mio letto. Mangiate due ditate -si, di-ta-te, sono troppo incivile per un cucchiaio- decisi che non era una cosa intelligente da fare, non volevo certo sentirmi male il primo giorno di scuola! Ma non potevo nemmeno permettere che la finisse mia madre, perché, non so le vostre, ma la mia mi comprava la Nutella e la faceva sparire prima che me ne rendessi conto, quindi per "proteggerla dal male" la nascosi dentro il mio cassetto super segreto, dove mettevo le magliette che le rubavo, o i suoi tacchi, o i suoi vestiti, o i suoi rossetti, tutto quello che di bello lei aveva e io no. Messa al sicuro la mia gioia più grande, decisi che era ora di trovare qualcuno con cui parlare per passare il tempo prima di suicidarmi per la noia. Si dice che le migliori amiche ci sono sempre per noi, anche alle sei del mattino: anche no. Passai una buona mezz'ora a mandare messaggi (leggi: lettere) a caso a Francesca finché non mi arrivò una sua registrazione vocale, abbassai un po' il volume prima di farla partire, non volevo certo svegliare mia madre, ma fu inutile perché urlava talmente forte da poter spaccare i vetri, non che i miei vetri fossero super spessi, forti e resistenti, non erano antri proiettile o anti sasso, ma erano pur sempre vetri, e ogni vetro merita rispetto...basta, la smetto.
"Santo cielo! Sara! Ti si è fuso il cervello?! Che ti è preso! Sono le -ci fu una breve pausa, uno sbadiglio e qualche imprecazione, poi- le sette meno un quarto! Torna a dormire, che io ho sonno!" il suo ragionamento non faceva proprio una piega! Se lei aveva sonno io dovevo dormire? E che vuol dire? Io dovevo sentire i suoi stimoli e risolverli? Non ha senso!
La chiamai, ma mi chiuse il telefono in faccia, ah! Che bella l'amicizia! Mi buttai sul letto con la faccia che sprofondava tra le pieghe del cuscino, non respiravo, mi rigirai a pancia in su, mi stavo annoiando in un modo che probabilmente nella Corea del Nord era illegale, o forse no, ma sarebbe dovuto esserlo in ogni nazione del mondo.
Arrivò l'ora di alzarsi. Alleluia. La mia sveglia suonò, non che mi servisse a qualcosa ormai, però lo scrivono tutti, quindi è okay. Tutti trattano la loro sveglia come se fosse la principale protagonista del racconto, l'antagonista per eccellenza delle loro mattine, quindi lo farò anch'io: il trillo della sveglia mi riscosse dai miei pensieri riportandomi alla realtà, odiavo quel suono, ogni volta che suonava mi veniva un colpo e mi svegliavo senza sapere chi fossi, dove fossi e cosa fosse un letto, esagero? Si, però sono sincera quando dico che se spesso ero incazzata col mondo solo per colpa di quel suono; "prova a cambiare suono!" Perché secondo te mi sveglio con la ninnananna? "Compra una sveglia per l'olfatto!" Così mi alzo cercando una torta al cioccolato che non esiste e sono ancora più incazzata! "Scarica un'app che ti svegli nel momento in cui sei più pronta!" Si, come no! Così sarò in piedi per l'ora di pranzo! No, decisamente non c'erano altre soluzioni, se non quella di infliggersi quella piccola e breve tortura giornaliera, tanto ricercata nella letteratura del XXI sec. d.C. di tutto il mondo.
Mi alzai una volta per tutte, rifeci colazione, perché era una buona scusa per mangiare i biscotti, mi vestii, anche se avrei preferito non farlo, perché essere in pigiama era una buona scusa per non andare a scuola, ma penso non avrebbe funzionato con mia madre e nemmeno con mia nonna che soffre di demenza, perciò dopo quasi un'ora di attento preparamento e truccaggio ero pronta per uscire. Pronta fuori ma non dentro. Infatti, per chiunque sia al cento per cento umano, occorrono almeno due settimane di scuola per abituarsi allo stato mentale di "è iniziata la scuola, forse dovrei mettermi a studiare".
Salutai mia madre che come ogni giorno mi accompagnò alla porta per dirmi di divertirmi, le avrei detto volentieri di andarsene a fanculo, ma lei non sapeva che io mi esprimevo spesso e volentieri con quei termini. Si, okay, probabilmente lo sapeva ma non penso volesse che li usassi per inveire contro di lei.
Chiamai l'ascensore e dopo poco tempo (leggi: 5 lunghissimi minuti) arrivò, salii dentro e mia madre, che era ancora lì a sorridermi per strani e misteriosi motivi, chiuse la porta, si sentii però anche un'altra porta che si apriva e si richiudeva, schiacciai il più velocemente possibile il pulsante del piano terra e la porta in metallo iniziò a scorrere troppo lentamente, Federico si infilò nell'ascensore prima che me ne accorgessi, così come una murena si infila tra due rocce, forse questo paragone è un po' ambiguo... Tra le quattro piccole pareti rosse calò il silenzio più imbarazzante che avessi mai "non sentito", feci per prendere gli auricolari dalla borsa quando lui si schiarì la voce, voleva chiacchierare? Aveva qualcosa da dire? Aprì la bocca per parlare, ma poi si stette zitto, forse aveva solo mal di gola anche se era piuttosto improbabile in quel periodo dell'anno. Ripresi a frugare e quando trovai gli auricolari sospirai delusa, erano tutti aggrovigliati, come al solito, solo che a differenza del normale non potevo sclerare come una pazza solo perché non si snodavano, non volevo fare figure di merda, così quei pochi ma lenti momenti nell'ascensore passarono nel più grande disagio possibile, il disagio di chi è consapevole che un tempo con l'altra persona aveva sempre qualcosa di cui parlare mentre ora nemmeno la saluta, già, il disagio di chi si chiede come cazzo è successo, che è bene diverso dal disagio che provi quando stai in ascensore con un vecchio o una donna con dei bambini, perché non sai dove guardare, e se il soggetto in questione era Soro la situazione degenerava perché il "dove guardare" diventava un bel problema. Negli occhi? Nah, troppo strano soprattutto perché avrei visto solo le sue palpebre dal momento che teneva lo sguardo basso su un vecchio telefono con il vetro rotto e la batteria in bella mostra; le labbra? Quali labbra? Quelle belle, carnose, ben definite, labbra rosee? E che c'era da guardare in quelle labbra? Mi viene dal ridere al solo pensiero! Chi vorrebbe guardare quelle labbra? Basta. Avrei dovuto guardare la sua bella canottiera bianca, un po' trasparente, che non lasciava molo spazio alla fantasia e che ti costringeva a partire per filminimentalilandia? Macché! Non ne valeva la pena; allora dove? Più in basso? Certo che no! Quindi mi concentrai sui piedi e sulle sue Jordan sfondate, apprezzai il fatto che avesse quelle scarpe, ormai tutti i ragazzi che si vedevano in giro portavano le Hogan, quelle alte, magari anche con le pagliette, non che sia un problema, se il ragazzo è gay vanno benissimo, ma quando non lo è inizia ad esserlo, perché non sai più se con lui puoi flirtare in pace e se stai violentando con lo sguardo un povero gay innocente. C'est la vie!
Fatto sta che quelle scarpe e quel l'abbigliamento trasandato di chi non ha veramente niente da mettersi gli donavano un'aria... virile? Già, era davvero figo ora che ci facevo caso. Ma forse avrei potuto farci caso qualche istante prima, perché lui alzò il viso e vide che lo stavo letteralmente fissando. Abbassai rapidamente gli occhi, ma continuavo a sentire il peso del suo sguardo inquisitorio che mi accusava di averlo sbranato con gli occhi. Hannibal. Grazie a Dio la porta dell'ascensore si aprì proprio in quel momento ed io sgattaiolai fuori, dev'essere che si trattava dell'unica giornata fortunata di tutta la mia vita perché, aperta la porta d'accesso al palazzo, intravidi l'uno che spariva dietro dalla recinzione rossa resa immensa e informe da una pianta di edera non curata, casa di almeno mille diverse famiglie di topi, così attraversai il cortile correndo e presi il pullman appena in tempo, più o meno.
L'autista infatti chiuse la porta prima che entrasse la mia borsa e la liberò solo dopo che io ebbi lanciato un paio di imprecazioni, a quel punto finsi che non fosse successo nulla e, come una persona civile, andai a cercare un posto e mi sedetti. Decisi di godermi quei 10 minuti che mi separavano dalla scuola come i 10 minuti più belli della mattinata, ed in effetti lo erano, era l'unica pausa che avrei avuto da Soro e dalla soggezione che quel che stava sotto la maglietta vedo-non vedo mi dava, perciò osservai attentamente tutte le persone che apparivano nel mio campo visivo, fissandole peggio di una stalker. No comment.
Scesi dall'autobus e dopo pochi passi il telefono vibrò nella tasca dei jeans e partì l'inconfondibile canzone delle Winx, mi affrettai a rispondere ma ormai il danno era fatto, me ne resi conto dalle facce perplesse che tutti gli studenti scesi insieme a me mi rivolgevano.
«Non hai capito cosa è appena successo» dissi, senza nemmeno salutare Francesca dopo averle risposto, sentii qualche risata proveniente dall'altro lato della cornetta, poi qualcuno chiese se aveva funzionato e lei rispose di sì.
«Cosa è successo?» mi rispose lei ridacchiando.
«Considerati morta»
«Non sono stata io, è stato Fede!»
«Ma tu eri sua complice!» provai ad arrabbiarmi ma poi lei uso la voce dolce e triste, di chi è davvero mortificato per quello che ha fatto per chiedermi scusa e mi si sciolse il cuore, «okay, hai vinto tu» ci salutammo ed io feci appena intempo a non inciampare sul primo gradino delle scale.
Era il primo giorno di scuola, tra un'ora sarebbero arrivati i primini e alla ricreazione, come vuole la tradizione, io e Francesca saremmo andate da loro per metterli un po' in imbarazzo, chiedendogli per esempio se sapevano dov'era Aron Èleo, uno studente straniero, venuto per lo scambio interculturale nella nostra classe, che avevamo perso di vista tornando in aula.
Sarebbe dovuto essere un bellissimo primo giorno di scuola.

Autrice: non so se qualcuno leggerà mai questo capitolo, spero di sì, e nel caso metta una stellina che a me le stelline piacciono tanto tanto💕
Spero che a te, improbabile esistente lettore, il capitolo sia piaciuto tanto da farmi i complimenti in un commento, ma se non ti è piaciuto lascia una critica, purché sia costruttiva.
Adios💕
Ps: mi scuso per eventuali errori di battitura e/o distrazione, perdonatemi.

Il Migliore Amico Del Mio RagazzoWhere stories live. Discover now