Capitolo 4

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La sera tardi, quando ormai ero pronta per andare a letto mentre con la testa dormivo già da un pezzo, mia madre mi disse di dare da mangiare al gatto.
Uscii in balcone in pigiama per cercare Archimede, «Archimedino? Sei qui Micio, micio...» dicevo con la voce stupida che la specie umana è solita usare con animali e neonati, mi inchinai per terra in una posizione poco consona ad una ragazzina, con il sedere in aria, e continuai a cercare il mio gattone. Inutile dire che sentii qualcuno ridere alle mie spalle, gattonando mi girai verso il balcone accanto e Fede era lì.
In mutande.
Con i capelli spettinati.
E la sigaretta tra le dita.
Arrossii.
«Eeehi...» dissi, imbarazzata portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, lui aveva smesso i ridere, ma non di sorridere, mentre io volevo che il balcone si smaterializzasse cosicché io potessi morire in pace.
«Hai davvero chiamato il tuo gatto Archimede?»
«Qualche problema?» sbottai, il povero Archimede era sempre deriso per il suo nome, ma quando ero piccola pensavo che fosse un calciatore famoso il che, nella mia mente malata, rendeva anche Archimede famoso.
«Si» disse facendo un altro tiro di sigaretta e soffiandomi il fumo in faccia.
«Ho un nome originale anche per te» dissi alzandomi in piedi e allisciandomi la maxi maglia nera che usavo per dormire con le mani, cercando di sistemarla.
«E sarebbe?» disse lui piegandosi in avanti e appoggiando i gomiti alla ringhiera, "è così ora mi provochi, eh?" pensai, notando che in quel modo era -se si poteva- ancora più sexy, lo imitai e ora i nostri visi si trovavano a pochissima distanza.
Ma sebbene fosse la giusta ora per un bacio della buonanotte, l'atmosfera era tutt'altro che romantica, per cui non aspettatevi frasi come "mi morsi il labbro sperando che mi baciasse" o simili, perché io e Soro eravamo praticamente due estranei, due estranei che abitavano a pochi passi di distanza, ma pur sempre due estranei, e nella vita reale gli estranei non si innamorano al primo sguardo.
«Testa di cazzo» gli risposi soddisfatta.
Lui strabuzzò gli occhi e mi guardò sorpreso e al contempo divertito, alzò un sopracciglio come faceva di solito quando voleva fare un commento sarcastico, non chiedetemi come faccio a saperlo, e poi disse: «Hai imparato questa nuova parola e ora la usi anche quando non c'entra niente? Che carina! Lo fa anche mia cugina, ma lei ha cinque anni!» che simpatico! Finsi una risata senza cercare di fargli pensare che l'avessi trovato divertente. Mi rialzai e gli diedi le spalle, confesso che sculettai un po', almeno finché non inciampai sopra Archimede. Quando vide che gli stavo per cadere addosso, il gatto miagolò così forte che sembrò urlare una qualche minaccia e poi corse via, io rimasi col sedere per terra e le gambe in aria mentre Federico se la rideva dall'altra parte della ringhiera, "un giorno li ucciderò, lui e Archimede!" pensai mentre mi autocommiseravo. Mi ri-rialzai ed abbassai la maglia che si era sollevata mentre cadevo, scappai via a passi piccoli e veloci, entrando dentro casa.
«Belle mutandine!» urlò lui, mentre chiudevo la finestra, "fanculo! A te e alle mie mutandine" brontolai nella mia mente, ma in realtà ero diventata tutta rossa e non solo per l'imbarazzo, ma anche per la rabbia.
E si, se ve lo state chiedendo, dimenticai di dare da mangiare ad Archy -lo mettiamo con la y perché sì-, cosa potevo fare ora?
Tornare fuori era escluso, perché la sigaretta era appena iniziata e quindi sarebbe rimasto lì finché non avrebbe esalato il suo ultimo respiro -la sigaretta, lui resta vivo tutto il tempo necessario a rendere la mia vita davvero impossibile-, ma il mio fedele animale aveva fiutato l'odore di cibo e mi stava letteralmente addosso, mettendosi in mezzo ad ogni passo e costringendomi a inciampare sui miei stessi piedi per non dargli calci, non che fosse difficile farmi inciampare, ci riuscivo perfettamente anche da sola. Capii che non mi avrebbe lasciato in pace finché non avrebbe ottenuto ciò che voleva, e c'era una sola soluzione a questo problema: «MAAAMMAAAA!» si lo so, ho 17 anni e dovrei iniziare a risolvere i miei problemi da sola, ma mia mamma è sempre mia mamma, e penso che prima di nascere un angelo sia sceso dal cielo e mi abbia detto con una voce meccanica "servizio clienti bambini stupidi. Per problemi di qualsiasi tipo, sia seri che stupidi, chiama alle lettere MAM-MA e tutti i tuoi mali avranno una fine" io l'avevo preso alla lettera. Mia madre uscì dal bagno con l'asciugamano legato sotto le braccia, i capelli bagnati e la faccia sconvolta. «Cosa è successo?» chiese con l'aria super preoccupata, ma quando si rese conto che non stavo per morire, come evidentemente aveva pensato, sbuffò seccata e disse: «Cosa vuoi?».
«Potresti dare da mangiare ad Archimede?» chiesi facendo gli occhi dolci e poi ricordai la formula magica, quella che la convince sempre e con il sorriso più dolce e bambinesco possibile aggiunsi con voce angelica: «Perfavore» lei sbuffò, segno che si era arresa e che avrebbe acconsentito.
E invece: «Sei impazzita? Mi hai fatto spaventare! E in realtà volevi solo che dessi da mangiare al gatto? Secondo te posso andare in balcone così?» no, decisamente non puoi.
«Non lo faresti per tua figlia?» le chiesi, ma lei incrociò le braccia sul petto, sia per farmi capire che era un'adulta e le sue decisioni erano irremovibili, sia perché le stava cadendo l'asciugamano, così sbuffai, ma io al suo contrario rispettai la sacrosanta regola dello sbuffo e mi arresi, andando a riempire le ciotole di quel rompipalle peloso. In balcone riuscii ignorare la presenza di Soro, ma non anche quella del fumo, iniziai a intervallare momenti in cui trattenevo il respiro e momenti in cui tossicchiavo silenziosamente, sembravo la misera comparsa sacrificabile di un film, quella veniva avvelenata e moriva senza che nessuno se ne accorgesse. Ma questa comparsa non morirà. Non qui! Non ora! Gridai in modo trionfante nella mia mente, mi sentii in imbarazzo con me stessa per aver recitato quelle battute con tanta enfasi, mi facevo pena da sola.
Rientrai in casa e chiusi la porta che dava alla veranda, andai a sdraiarmi, finalmente quella giornata era finita, avevo 9 ore di vita serena prima di rivedere Federico e la scuola, ero sopravvissuta al primo giorno e ora potevo dormire per potermi poi risvegliare convinta di essere ancora in estate.
Ma quella giornata non era ancora finita.

Autrice: ecco il nuovo capitolo! Ci è voluto un sacco di tempo, prima che mi decidessi a pubblicarlo e spero che vi piaccia.
Spero di riuscire ad aggiornare più spesso da oggi.
Se ci siete mettete una stellina e scrivete un bel commento, ADIÓS

Il Migliore Amico Del Mio RagazzoWhere stories live. Discover now