CAPITOLO 13 pt.2

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RACHEL

Queste vacanze non le sto passando serenamente, ho come un nodo alla gola che non si scioglie perché non riesco a raccontare quello che mi è accaduto a nessuno, soprattutto alle mie amiche, non voglio farle preoccupare.

Sto cercando di convincermi che io stia bene, ma in realtà non è così e loro se ne sono rese conto.

Lando mi ha consigliato più volte di denunciare, ma io ho insisto per non farlo. Non voglio avere ulteriori problemi, preferisco lasciarmi tutto alle spalle, anche se è difficile. Più di quanto pensassi.
Per me non è facile aprirmi con le persone, a parte che con Emily e Azzurra e anche se all'inizio tendo ad irrigidirmi finisco sempre per aprirmi con loro, infatti in questo momento è veramente difficile non parlargli di questo.

Quella mattina io ed Emily l'avevamo passata a sistemare casa sua, visto il casino combinato i giorni prima. Azzurra invece ci aveva vigliaccamente abbandonate in questa impresa, ma aveva una buona scusa, doveva vedersi con i suoi fratelli.

Quando esco dal bagno, la porta d'ingresso si spalanca.

"Ho bisogno di uscire. ADESSO" dice Azzurra.

"Bentornata?!" dice Emily con fare interrogativo mentre io mi metto la mano sulla fronte.

"L'appuntamento con Matteo e Agata è stato un mezzo disastro, ho bisogno di uscire"

"Ma se sei appena tornata?!" continuo io.

"Sai che quando dico 'ho bisogno di uscire' significa 'ho bisogno di shopping', quindi muoversi, devo lamentarmi con qualcuno" Detto questo si gira ed esce.

"Ma che problemi ha?" dice Emily ridendo.

"Non lo so, se vuoi vado io, così tu finisci qui"

"Si grazie. A dopo"

"A dopo" chiudo la porta e raggiungo Azzurra che era già entrata nella macchina.

***

"E a quel punto mi fa 'i nostri genitori chiedono di te, sperano che tu li venga a trovare prima di partire', e io sono tipo rimasta COSA?! Cioè, credono veramente che dopo tutto quello che è successo, dopo tutte le volte che mi hanno ostacolato, io decida così su due piedi di incontrarli dopo cinque anni. Cioè, cinque anni. Scusa ma non lo accetto".

Ormai era mezz'ora che la stavo ascoltando mentre parlava e dava sorsi al suo Caramel Macchiato. Ma non era ancora finito?!

"Penso che tu dovresti dare loro una possibilità, ma in realtà non so cosa dirti. Sai, mio padre non c'è mai stato, io ovviamente non lo voglio vedere, ma nel tuo caso non saprei."

"Il fatto è che non mi sento ancora pronta. Adesso ho tutto, ho te e Emily, vivo a New York e ho un'azienda di alta moda, e in oltre sono innamorata di uno strafigo super gentile che stranamente mi considera. Non potrei chiedere di meglio, ho paura che questo possa rovinare tutto, tutto l'equilibrio che mi sono costruita" dice con una faccia seria.

A quelle parole mi si spalanca la bocca, non so da quanto sono in stato di trance, ma Azzurra mi riporta alla realtà chiamandomi.

"Sì, ci sono, scusa. Solo che...ecco...quello che hai detto è veramente meraviglioso. Ti capisco. Se non ti senti pronta non devi farlo, ma mi sembra giusto che tu lo riferisca almeno a Matteo e Agata" dico io sinceramente.

"Ok, lo farò. Grazie, non saprei come fare senza di te".

A quelle parole mi appare un sorriso che ormai non veniva fuori da giorni, mi avvicino a lei e le do un abbraccio strettissimo.

Quando varco la soglia della porta sento dei leggeri singhiozzi, faccio il gesto di fare silenzio ad Azzurra e mi avvio piano verso la camera di Emily spalancando la porta.

"Emily! Che cavolo succede!" nel mentre Azzurra mi raggiunge ed entra notando Emily piangere.

"Mio padre".

EMILY

Appena Azzurra e Rachel escono, accendo Spotify mettendo la solita playlist Ultimo-One Direction.
Quando la musica parte, però, sento il telefono suonare. Lo prendo in mano e non riconosco il numero. Rispondo pensando sia un cliente.

"Pronto?" dico io.

"Hey, Emily?"

A quella voce mi cade il telefono a terra, la riconoscerei fra un milione.
Lo raccolgo e tra la paura, la rabbia e il dolore dico:
"Cosa vuoi?" una lacrima comincia a scendere sul mio volto senza nemmeno accorgermene. Non credo sia una lacrima di tristezza, ma più di rabbia mista a delusione mai svanita in questi anni.

"Allora mi hai riconosciuto. Senti mi dispiace di averti chiamata così, però..."

Continuo a parlare senza nemmeno farlo finire "Come hai fatto ad avere questo numero."

"Be', non dovrei dirtelo."

"È stata la mamma ho capito. Senti, cosa vuoi da me, sono passati più di cinque anni, spero tu sappia che sono andata avanti, quindi sinceramente non mi va di sentirti" dico severa.

"Lo vedo, basta guardare le riviste di moda dove sono stampate sopra le foto tue e di Azzurra."

"Che cosa vuoi, se pensi di poter avere i miei soldi ti sbagli di grosso, me li sono guadagnati con la fatica e soprattutto senza il tuo aiuto e sostegno".

"Non voglio i tuoi soldi...volevo solo farti gli auguri di buon Natale...è molto tempo che non ce li facciamo."

"Prova a chiederti perché."

"Senti ci sto provando, ok? Ma continuo a non capirti. Nemmeno ora che faccio il dolce ti vado bene come padre..."

"Forse è perché non mi fido che dici? Quando ero piccola ogni volta che facevi 'il dolce' voleva dire che stava per arrivare una delle tue novità, dopo che l'avevi sganciata, ritornavi il solito senza empatia, poi ricominciava tutto. E io ogni volta mi illudevo che stessi cambiando, che ti importasse...Ho smesso di stare male a causa tua, anni fa, quindi lasciami in pace che fino ad ora stava andando tutto splendidamente."

"Sono i soldi che vuoi non è vero? Lo immaginavo, ti ho già fatto il bonifico. Ora possiamo riessere una famiglia che si chiama sempre, che si racconta tutto e si vuole bene? Volevi questo da piccola no?"

"Che tristezza. Questo dimostra quanto ti interessa veramente di me. Tu pensi di risolvere sempre tutto con quelli? Non ne ho bisogno, e soprattutto non li voglio."

"Non è così. Mi interessa di te."

"Ah sì? E da quando? Visto che ti interessa, dimmi: come sono le mie collezioni? Quale ti piace di più?"

Silenzio.

"Non lo sai! Non lo sai perché non le hai mai guardate!" urlo piangendo dalla rabbia, dalla delusione a cui oramai avrei dovuto farci l'abitudine "Eppure anche da piccola te le mostravo in continuazione, quei disegni osceni che poi nel tempo divennero decenti e adesso guardami...non ho più bisogno di te e anche da tanto tempo!"

"Io...io" comincia balbettando "Non sapevo che ci tenessi così tanto."

"Appunto, tu non sai niente di me. Non ti sei mai accorto che cercavo sempre di fare qualcosa per piacerti? Per avere anche un minimo complimento? O un piccolo sorriso? Ti accorgevi solo quando sbagliavo. Sai cosa vuol dire crescere e non sentirsi mai abbastanza, non sentirsi mai all'altezza?"

"No, non è così. Se ho lavorato tanto è stato anche per te, perché tu partissi dall'altezza, perché tu ti sentissi all'altezza."

"Be' hai sbagliato allora, i soldi non bastano. I soldi non fanno da padre."
Attacco la chiamata senza nemmeno salutare, mi butto sul letto con il volto nascosto nelle mani e continuo a piangere senza sosta.

Questa era la telefonata mancata, i discorsi mancati che dovevo fargli prima di partire, mi sarei risparmiata un bel peso per anni, ma il momento giusto non c'è mai per queste cose.
Fingevo che fosse tutto apposto, ma dentro di me il mucchio di cose mai dette non se ne era mai andato, è stato lì nascosto al buio, ad aspettare che trovassi la forza per scioglierlo e probabilmente in questi cinque anni ne ho acquisito abbastanza per farlo tutto di un colpo senza pensarci.

Sogni AppesiWhere stories live. Discover now