Capitolo 4.

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Blake POV
Quando rientro nel mio appartamento è ormai scesa ogni traccia di luce.
Ho perso la cognizione del tempo dentro un bar solo per stordire i nervi tesi, pensavo esserci riuscito ma è bastata la presenza di una rossa che mi stava guardando in modo troppo insistente per farmene andare.
Neanche più l'impulso di provarci con chi, senza sforzo aprirebbe le gambe, sembra risvegliare qualcosa in me. Improvvisamente sono diventato attratto dalle cose più difficili e impossibili come la bimba, questo aspetto sta quindi diventando un problema e non fa altro che accrescere il senso di inquietudine che ogni giorno mi sovrasta.

Il sesso è sempre stata la chiave per arrivare a calmare i giorni più scuri, quelli in cui la necessità di rivendicare la posizione di superiorità rispetto il passato diventa un'esigenza implacabile. Ecco perché non sono riuscito mai a farne a meno, soprattutto da quando l'ho iniziato ad associare a un mezzo per cambiare prospettiva da ciò che ho vissuto. Ho bisogno a volte di dimostrare a me stesso che la posizione d'inferiorità e impotenza non appartiene più al presente, che io non sono più in lui.
Ma dall'ultima volta dopo Zoe le cose sono cambiate, l'esigenza non sembra essere più abbastanza per riuscire a raggiungere un orgasmo. E così anche il sesso è diventata una lotta per inseguire l'appagamento personale, una corsa senza traguardo con l'unico scopo di farmi percepire quanto il mio mondo sta lentamente deteriorando, portandosi dietro ogni parte di me.
Sono arrivato anche a pensare che la bimba riuscirebbe a sbloccare questo problema, perché con lei il piacere non si è mai limitato ad essere un mezzo.
La sua inesperienza, il modo in cui timidamente si lasciava travolgere dall'eccitazione per poi, subito dopo, vedere i suoi occhi contrastati tra l'imbarazzo e l'irrefrenabile volontà di vivere quei momenti. Alyssa riusciva a soddisfare il desiderio di scappare lontano dalla realtà, in un presente parallelo in cui forse sarei potuto essere meno sbagliato di quel che sono.
In quei momenti non ricordavo lui, pensavo solo a spiccare il volo con lei.
E l'abbiamo fatto sorvolando ogni problema, in quegli istanti che a volte avrei voluto fossero interminabili.
Per questo non riuscirei a pensarla come un espediente ai miei problemi, non potrà mai esserlo.

Gli occhi di Nathan mi scrutano come in cerca di qualche informazione quando varco il salone. Capisco subito che John non sia riuscito a tenere la bocca chiusa raccontandogli la mia visita.
<<Ho solo ristabilito il giusto ordine delle cose.>> Mi giustifico con indifferenza anche se so che questa volta non lascerà stare facilmente.
<<Nel ristabilire l'ordine>> mima l'ultima parola, sottolineandone il significato, con le virgolette. <<Cosa c'entra un incontro impossibile da organizzare con così poco preavviso?>> Si alza dal divano per venirmi di fronte.
<<Conosci già la motivazione.>>
Nathan è l'unico a sapere qualcosa. Per questo riesce a comprendere maggiormente alcune mie scelte che potrebbero sembrare illogiche o folli ad occhi esterni, ma non ha mai condiviso la mia concezione nell'identificare i rapporti. È difficile spiegare come il meccanismo infimo della mente reagisce quando qualcuno tende a sfiorare dei limiti troppo intrinsechi, innescando un comportamento che alcuni potrebbero definire malato ma che in realtà tende solo ad evitare di rivivere determinate situazioni.

Distaccarsi prima di venire distaccato, è questa la realtà che nessuno riesce a cogliere.

Ho accettato questo concetto nello stesso momento che, osservando il risultato delle conseguenze irrazionali, mi sono reso conto come la mia vita non stesse più rispondendo a me ma al riflesso dei sentimenti di altre persone.
Ho deciso, da quel momento, che nessuno avrebbe più avuto potere sulla mia mente. Solo io sarei stato a decidere quali sentimenti far prevalere o come gestire gli impulsi che troppo spesso rimanevano soffocati per cercare di trovare un equilibrio in una realtà già deperita.
Arrestare ogni traccia di emozione ne è stata la conseguenza.
Congelare il dolore ne è stato il primo passo in questa direzione.
Ed è bastato davvero poco per comprendere come vivere in funzione solo del proprio bene non arrecava più nessun tipo di sofferenza, oltre quella che ormai aveva macchiato in modo indelebile la mia anima. Analizzare le situazioni da spettatore e non più da protagonista ti porta ad essere in grado di creare una barriera divisoria tra te e tutto ciò che ti circonda, riuscendo a ridurre ogni traccia di emotività alla sfera dell'indifferenza.
Rimanere intoccabile da ogni sentimento è diventato così il mio obbiettivo.
Il meccanismo dell'apatia ti mette nella posizione di essere l'unico artefice nelle scelte, ma allo stesso tempo ti rende schiavo della solitudine. Ed è questo il fardello che a volte mi porta a chiedermi se ne è valsa la pena, diventare dipendente dall'unico tormento che non mi fa vivere.
Perché l'isolamento emozionale mi porta a ricordare l'insieme delle scelte che mi hanno fatto prendere, l'estrema decisione, di non provare più nulla. Rivivo ogni giorno il momento in cui il bambino mi ha tappato gli occhi, cerco di ricordare qualsiasi particolare per guardare oltre le sue piccole mani ma non riesco a vedere nulla. Ha rimosso ogni momento di quella sera, rendendomi incapace di mettere la parola fine al supplizio che sono costretto ad affrontare per cercare di rammentare.
Così sono diventato lo schiavo di me stesso.
Essere libero da ogni sofferenza mi ha portato ad essere ciò che sono, e per lo stesso motivo mi ritrovo ogni giorno a boccheggiare tentando di non perdere il controllo.

(Ri)trovarsi 2, quando da soli non bastiamo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora