Capitolo 37.

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Blake POV

Irrequieto.

È così che mi sento quando attraverso gli ultimi metri da sopra la mia moto che mi dividono dal cortile della mia vecchia casa. Lì dove incontrerò di nuovo mio padre.

La serata di ieri sera mi appare improvvisamente come un ricordo distante, la figura di Alyssa di fronte al mio corpo, i suoi occhi vicini e il profumo della sua pelle, tutto viene ridotto ad un flashback temporaneo che viene sostituito ben presto dalla recinzione della catapecchia che un tempo racchiudeva tutta la mia vita.

Che cazzo sto per fare?

Mi obbligo a spegnere il motore prima che l'impulso di andarmene immediatamente prende il sopravvento, ho bisogno di incontrarlo se voglio far funzionare le cose con lei ed è questo tutto ciò che conta.

La ghiaia del piccolo vialetto scricchiola sotto al mio peso mentre scosto il cancelletto ormai arrugginito da cui proviene un fastidioso cigolio, passo dopo passo riduco zero lo spazio dalla porta principale in legno che sembra stia aspettando solo me. Un passo in più, un solo passo in più.

Mi fermo sotto l'uscio della porta proprio come qualche settimana fa, quando avevo avuto la brillante idea di provare a forzare il varco dei miei ricordi insinuandomi proprio alla radice dei miei problemi; casa mia. Ma anche quella volta mi ero immobilizzato di fronte l'ingresso, il senso di oppressione che sentivo allora è lo stesso che percepisco adesso e il respiro sospeso non ne vuole sapere neanche oggi di aiutarmi a mantenere il controllo del mio corpo. Nonostante queste mura sono adesso disabitate e prive di ogni pericolo io non riesco ad oltrepassarle senza piombare di nuovo sull'orlo di un burrone pronto ad inghiottirmi, per la paura di lui.

<<Vaffanculo>> inveisco tra me, tastando la tasca anteriore dei miei jeans per afferrare una sigaretta e portarmela alla bocca. Devo entrare in questa maledetta casa prima dell'arrivo di mio padre per non far trapelare ancora quanto, a distanza di tutti questi anni di assenza, la sua presenza abbia comandato sempre la mia vita.

Nonostante il freddo di questa giornata il tessuto della maglietta a maniche corte che indosso brucia sulla mia pelle, percepisco la fronte madida di sudore e ogni muscolo del mio corpo essere teso come se la minaccia fosse ancora nascosta dietro l'angolo ad aspettare solo un mio passo falso. Il mondo è cambiato da quando avevo sette anni, questo cortile non è più lo stesso e perfino questa baracca mi appare più piccola di come ricordavo. I miei muscoli sono più allenati, i riflessi più sensibili e la forza delle braccia è nettamente definita rispetto alle esili mani di quando ero solo poco più di un bambino, eppure mi sento esattamente come lui. Sempre uguale.

Razionalmente mi azzarderei a dar ragione a Nathan, sono io a decidere e non più il vecchio, sono io a stabilire la direzione della nostra conversazione e il momento in cui interromperla, sono sempre io a sancire i silenzi o i momenti in cui voglio ascoltarlo parlare. Oggettivamente non potrà più succedermi nulla, sono al sicuro, ma quando tutta un'intera esistenza dipende dal frangente temporaneo in cui non sai cosa è accaduto, di conseguenza è impossibile anticipare le mosse in cui il corpo o la mente possono rifugiarsi. Azione-reazione, scuoto la testa per levarmi dalla mente le parole del mio psicologo che dopo la prima seduta aveva già compreso come la mia testa scindeva in tante piccole parti un problema per trovarne tutte le più possibili previsioni di uno stesso fatto. È così che sono sopravvissuto.

Ecco perché non essere a conoscenza delle rivelazioni di mio padre mi fa sentire in un certo senso esposto come non lo sono mai stato prima in sua presenza.

Mi volto di spalle un'ultima volta, prima di scostare con un piede la porta principale e fare un passo all'interno della casa che non vedo da più di tredici anni. L'odore di muffa a causa delle infiltrazioni d'acqua dal soffitto mi fa arricciare il naso non appena mi introduco ancora più internamente, i muri ingialliti e imbrattati dalle scritte a spray di qualche bomboletta donano un'aria abbandonata ad ogni cosa che è rimasta di questo ambiente solitario. Mi guardo intorno, delle coperte sono abbandonate a terra così come i residui di alcune sigarette e filtri di qualche canna lasciate qua e là probabilmente da qualche senza tetto o drogato che viene qui per rifugiarsi dal clima esterno. Non posso fare a meno di sorridere per la sorte riservata a questo posto, diventato ora il punto di ritrovo di qualche fallito proprio come anni fa lo era per mio padre e probabilmente anche per me, se fossi rimasto qui con lui.

(Ri)trovarsi 2, quando da soli non bastiamo.Where stories live. Discover now