Capitolo 39.

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Alyssa POV

Due settimane dopo...

Il semaforo dall'altro lato della strada mi da il via per passare mentre il rombo delle macchine intorno non fa che aumentare il senso di agitazione che oggi mi sovrasta.

Arrivo al marciapiede, svolto a destra e continuo a camminare rivolgendo il mio sguardo al parcheggio in lontananza che mi appare più distante che mai. Il sole splende alto, i raggi limpidi mi obbligano a socchiudere gli occhi per riuscire ad individuare il punto da raggiungere per incontrare gli altri che ancora non sono arrivati. Sono in anticipo almeno di mezz'ora ma non riuscivo più a rimanere nel mio appartamento come se niente fosse e così ho deciso di anticipare i miei piani per ingannare un po' questa lenta attesa sofferente come un supplizio.

Mi tremano le ginocchia, il battito del cuore aumenta ad ogni passo e i palmi delle mani hanno appena iniziato a sudare. Sono felice e terrorizzata allo stesso tempo, ho pregato per far sì che questo giorno arrivasse il prima possibile ma adesso che a dividermi da lui sono solo una manciata di minuti ho improvvisamente paura di scoprire se qualcosa è cambiato. Perché è stato solo fino ad oggi e la solitudine cambia spesso il modo di pensare... se avesse capito di stare meglio così?

Scuoto la testa ricacciando questo pensiero, non è il momento di concentrarmi su di me, qualsiasi decisione abbia maturato in questi giorni io non lo ostacolerò.

Desidero solo la sua felicità, ancor prima della mia.

L'enorme edificio nero si erige di fronte ai miei occhi ora che sono a pochi passi dall'entrata principale appoggiata ad un muretto in attesa di sentire il rumore delle porte sbloccarsi. Una piccola cabina a sinistra del cancello è occupata dal funzionario di turno mentre ai lati dell'ingresso ci sono due guardie intente a prendersi il caffè del primo pomeriggio per fare una pausa per niente preoccupati di rientrare.

Tamburello un piede a terra cercando di scrutare oltre le file di finestre oscurate sul lato principale, il silenzio che circonda le mura di questo posto mi fa rabbrividire ecco perché infilo un paio di auricolari e avvio una riproduzione casuale su Spotify.

Sono passati quattordici giorni.

Sono trascorsi quattordici strazianti giorni dall'ultima volta che l'ho visto disteso sul pavimento umido di una casa mal ridotta mentre si teneva la testa tra le mani e continuava ad urlare come se non riuscisse più ad osservare altro che il dolore.

Non ho mai visto nessuno soffrire così tanto in vita mia, in modo talmente atroce da far male solo osservandolo. Suo padre lo fissava dall'alto incapace di dire una parola, io mi sono immobilizzata con le lacrime agli occhi mentre Nathan chiamava i soccorsi e Travis cercava di ridestarlo dal posto oscuro in cui era caduto.

Tutti eravamo intorno a lui, per lui, eppure Blake non ci vedeva.

Non sentiva nient'altro che sé stesso e noi non abbiamo potuto far niente per aiutarlo. È rimasto solo per tutto il tempo in cui forse è riuscito a ricordare, le lacrime macchiavano il suo viso arrossato e lo sguardo terrorizzato è rimasto inciso sul suo volto fino a quando non è stato sedato di fronte i nostri corpi.

Solo a quel punto ha smesso di dimenarsi, solo allora le sue urla sono cessate.

Non sappiamo cosa sia successo nella sua mente in quegli istanti, non abbiamo idea cosa l'abbia ridotto in quelle condizioni ma quello di cui siamo certi è che deve essere stato un dolore lancinante quello che ha vissuto, per inginocchiare al suolo una persona forte come lui. Blake in quei momenti non reagiva neanche più, come fosse arreso alle consapevolezze nuove che da tutta una vita lo tormentavano.

Non abbiamo saputo altro dai medici, solo che al suo risveglio aveva espressamente chiesto di non ricevere visite né da me né dai suoi amici. È voluto restare solo per affrontare poco alla volta sé stesso, le rivelazioni di suo padre e chissà... forse anche per lasciarlo andare via per sempre. In un posto lontano dalle sue paure.

(Ri)trovarsi 2, quando da soli non bastiamo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora