L'arte della soverchieria

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Olate, Martedì 21 aprile 1643

Lesto e molesto quanto un ombrello dall'apertura particolarmente veloce chiuso altrettanto velocemente (e piuttosto crudelmente) sul dito mignolo di uno sventurato, il conte Attilio, Soverchiatore di Mestiere e Professionista, incedeva con dignitosa goffaggine per la strada ciottolosa, senza godere del magnifico paesaggio che gli si parava dinanzi, in compenso strisciando rigorosamente col braccio destro lungo il muro per garantirsi la precedenza nel caso in cui ve ne fosse stata necessità. "Noi soverchiatori" diceva tra sé e sé "dobbiamo in effetti conoscere alla perfezione tutte le sottigliezze delle consuetudini cavalleresche, in modo da dare il buon esempio e fungere da maestri a coloro che, da principianti quali sono, hanno appena intrapreso il cammino che li porterà a diventare soverchiatori fatti e finiti. La strada certo non è aperta a tutti: raggiungere il rango di professionista richiede infatti impegno, spirito di sacrificio, diligenza e una certa dose di determinazione da parte dell'iniziato."
E in quel momento il conte Attilio, Soverchiatore di Professione, ripensò agli anni d'oro della gioventù ormai andata, a quando era noto con la nomea di visconte Attilio, Soverchiatore d'Esordio, e trascorreva il tempo libero nel fare pratica con la spada e faceva a gara di soverchieria con gli amici.
Gli sovvenne alla mente in particolare un episodio risalente addirittura alla sua infanzia. Quel giorno si trovava a giocare a bassetta, un popolare gioco di carte dell'epoca, con alcuni amici.
Sfortuna volle che il nostro Attilio aveva appena perso una giocata, rimettendoci la somma di 3 scudi, e, colto dalla stizza, aveva escogitato un modo per vendicarsi. Rivolgendosi al vincitore, disse: "Voglio proporti una sfida tra piccoli gentiluomini: prova ad incrociare le dita tenendole ben tese verso l'alto; se riuscirai a tenerle in quella posizione senza urlare per 10 secondi, ti darò uno scudo, altrimenti sarai tu a consegnarmi la stessa cifra". I più perspicaci lettori avranno capito dove andrà a parare la faccenda. Fatto sta che lo sprovveduto incrociò le dita nel modo in cui gli era stato detto, e non fece in tempo a contare fino a 4, che Attilio, veloce quanto un gatto, avvicinò le proprie mani a quelle dell'amico, ed esercitò una notevole pressione sulle di lui dita, facendolo piegare in due dal dolore, e gridare quanto un mascalzone che riceve una sonora bastonata. Forse potrà sembrare, a molti lettori pratici di queste monellerie o che se le sono già lasciate alle spalle, che l'intuizione di Attilio non fu così brillante, e che scherzi del genere si fanno anche tra bambini dell'asilo. Sì, ma c'è anche da chiarire una questione sui bambini appartenenti a famiglie nobili: sebbene fossero impegnati in interminabili ore di studio, spesso e volentieri la loro acutezza mentale non era direttamente proporzionale alla quantità di poemi cavallereschi studiati, ed era raro che i genitori li rendessero partecipi della vita familiare e della attuale situazione socio-politica dello stato di turno. Il risultato era dunque che tali rampolli apparissero, non direi ottusi, ma di certo men svegli ed agili di mente di quanto non lo fossero i ragazzi d'istrada o vissuti nella povertà; è infatti assodato, ma spesso dimenticato, che le difficoltà e le tribolazioni aguzzano l'intelletto. Spero di avervi convinto che, per questo motivo, giungere ad una simile intuizione senza l'aiuto di nessuno fu, per il visconte Attilio, bambino di 7 anni, motivo di numerosi elogi da parte dei suoi parenti, che avevano riconosciuto in lui un prodigio dell'astuzia, dote fondamentale per un aspirante soverchiatore.
"Bella giornata, né vero, signore? Forse, non troppo adatta al contesto in cui ci troviamo."
Questa voce fece riscuotere il conte Attilio, Soverchiatore di Professione, dalle sue elucubrazioni.
"Chi non muore si rivede, dico bene, signor Governatore?"
"Lei non si smentisce mai!" lo rimproverò, non senza lasciarsi sfuggire un sorriso, Antonio Sancho Dàvila de Toledo y Colonna, marchese di Velada, quell'anno Governatore in carica del Ducato di Milano.
I due avevano militato insieme, in gioventù, nell'esercito spagnolo. Il marchese aveva fin da subito visto in quella recluta un buon camerata, e anche se non avesse ricevuto numerose raccomandazioni sul suo conto, come naturalmente accadde trattandosi di un nobile, sarebbe stato ben felice di prenderlo in simpatia.
"Solo lei, signor conte, può avere lo spirito di fare un affermazione simile a un funerale."
"Bando alla tristezza! Come mi ha fatto notare poc' anzi, è una giornata meravigliosa, ed io ritengo che sarebbe un vero crimine trascorrerla con lo sguardo improntato di tristezza e rivolto verso il basso a codesta maniera. Piuttosto..."
esordì assumendo un aspetto tronfio e pettoruto come soleva fare quando discuteva di affari con persone di rilievo
"Cosa ci fa un pezzo grosso come lei qui in uno sperduto paesino di campagna? Non mi dirà che le interessa assistere a questo funerale? Neanche a dire che il defunto era un personaggio di spicco!"
"Mi duole contraddirla, ma sono qui solo per questa ragione. Per quanto riguarda il defunto, sappia che don Abbondio era un mio carissimo amico".

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