La setta di Aaron

12 4 0
                                    

Rimini, venerdì 28 maggio 1643

Spesso ciò che più alimenta la nostra esistenza è uno scopo, e proprio di uno scopo Renzo era rimasto privo per lungo tempo. Grazie alla lettera riuscì nuovamente ad averne uno, benché nemmeno lui fosse certo di cosa si trattasse. Era ad ogni modo curioso di conoscere quei signori che si dicevano così sovversivi.
Per questa ragione preparò in fretta due fagotti, per sé e per Gervaso, poiché nella lettera c'era scritto che sarebbe stato aiutato a fuggire dal monastero, e, sebbene questo non rientrasse nei suoi piani, e certo non volesse offendere né il buon padre Marín né tantomeno il caro padre Teopoldo, pensò che avrebbe forse fatto bene a prepararsi all'evenienza di trascorrere la notte fuori casa. A quel punto sorse un nuovo problema: nella lettera 'il Custode' si era sbadatamente dimenticato di fissare un orario per l'incontro. Renzo ci fece caso solo ora, e questo avrebbe potuto fargli sovvenire un lecito dubbio riguardo alla competenza ed alla serietà di questo misterioso personaggio. Certo è che se ciò accadde, egli scacciò subito dalla sua mente tale presentimento: Renzo era in quel momento troppo eccitato, troppo in balia della più struggente curiosità per concentrarsi su simili inezie. Per quanto maturato, non era in fondo troppo diverso rispetto a quando era giovane. Decise per sicurezza di presentarsi a pomeriggio inoltrato: sia che si fosse trattato dell'uomo fidato di cui parlava la lettera, sia di un manipolo di bravi pronti a fargli la pelle, lo avrebbero aspettato.
Dovette anche risolvere la quistione di uscire dal convento insieme a Gervaso e provvisto di salmerie senza destare il sospetto dei frati. Per riuscire nel suo intento adottò un piccolo espediente: disse che avrebbe dovuto incontrare degli orafi per negoziare sul prezzo di certi gioielli (è qui utile ricordare che Renzo si era arricchito in quegli anni col mestiere di mercante e "speculatore", e che quindi svolgere simili attività era per lui abituale).
I frati vi credettero e la loro fiducia divenne totale quando seppero che Renzo avrebbe donato al monastero una percentuale di ciò che avrebbe guadagnato rivendendo l'oro.
Fu così che venerdì 28 maggio, sul far dell'ora decima, Renzo e Gervaso si trovavano al mercato cittadino. Durante il tragitto Renzo si era chiesto come avrebbe fatto a riconoscere l'uomo che avrebbe dovuto accompagnarlo verso la libertà e la salvezza, ma il problema non si pose, perché fu quest'ultimo a riconoscerlo.
Vide infatti avvicinarsi lentamente un individuo non meno bizzarro di quello che gli aveva "consegnato" la lettera tre giorni addietro. Renzo decise di andargli incontro, e Gervaso lo seguì.
Quando giunsero ad una distanza di pochi metri, l'uomo si fermò. "Lei è il signor Tonio Biroccini?" domandò denotando un accentuato difetto di pronuncia della lettera "s", che aveva pronunciato "sc".
Renzo annuì, e l'uomo, dopo aver lanciato una rapida occhiata su Gervaso, fece giocondamente segno di seguirlo.
I due gli andarono dietro, e notarono, o per lo meno lo fece Renzo, che questo gentile signore stava indossando un abito di tessuto broccato piuttosto di lusso, benché fuori moda, avvolto in un elegante mantello. Per ironia, sarebbe potuto davvero sembrare un orafo, non fosse che tanto l'abito quanto il mantello erano decisamente troppo grandi per lui. Renzo ne dedusse che il signore in questione aveva noleggiato i vestiti, probabilmente da un ebreo del luogo, e ciò significava che costui aveva sentito, per qualche ragione, la forte necessità di nascondersi, o quantomeno di camuffarsi. Renzo osservò però che in quella maniera avrebbe attirato molte più occhiate indiscrete di quanto non sarebbe successo indossando un semplice farsetto; decise perciò che, una volta giunti a destinazione (qualunque fosse), gli avrebbe chiesto spiegazioni. Ma nel mentre noi e Renzo stiamo a ragionare su simili pochezze, il signore dall'ampio mantello aveva condotto i due amici all'interno di un edificio diroccato.
"Avrei giurato che ci avreste portati fuori dalle mura cittadine, in qualche paesino sperduto." commentò Renzo.
"I migliori nascondigli sono quelli che stanno sotto gli occhi di tutti" rispose il signore, riponendo a una volta sola anche ai dubbi sorti a Renzo durante il breve tragitto.
"E quando dico 'sotto' intendo anche in senso letterale, mio caro signore. Eh via!". L'uomo infatti mentre parlava aveva sollevato senza fatica una botola nascosta sotto un tappeto, per poi infilarcisi dentro. "Le leggi delle buone maniere mi obbligherebbero a farvi scendere per primi, ma forse scendendo prima io questo rude portale vi sembrerà meno spaventoso. A proposito d buone maniere: io so i vostri nomi, ma voi ignorate il mio, e benché questo mi darebbe un indubbio vantaggio strategico se fossimo nemici, preferisco rendervelo noto essendo noi alleati".
Nel frattempo era sprofondato nella botola scendendo i gradini di una scala a pioli sottostante. Renzo e Gervaso lo seguirono uno alla volta.
"Ebbene, io mi chiamo Ignazio Medeo, e sono l'adetto agli affari esteri della setta. Lavoro duro, e poco remunerativo. Eh via! Per la verità, nessun lavoro qui è remunerativo. Per vivere faccio invece l'avvocato, e, parola mia, non ho mai perso una causa in tutta la mia carriera".
Renzo aveva ascoltato fino a un certo punto, e quel punto era la parola "setta". Dunque era finito in una società segreta, magari di carattere religioso? Questo avrebbe spiegato l'avversione che provavano per il monastero, e la loro volontà di sottrarlo alle autorità religiose. Ora, una setta eretica non era certo una bella cosa di cui far parte, soprattutto con un Inquisizione forte come quella dello Stato della Chiesa. E così era per questo che rischiavano la vita spesso.
<Ecco, mi son cacciato in un altro forno. Il vecchio don Abbondio aveva ragione, quando diceva che ho un talento nel comprarmi guai a contanti.> Decise comunque di carpire qualche informazione in più.
"Gentilissimo signore, perdonate la brutalità della domanda, ma cos'è la setta?"
Il gentilissimo signore era sceso fino in fondo, e quando Renzo lo raggiunse, si trovò all'interno di un corridoio piuttosto lungo, dalle pareti costellate di porte.
La guida, dopo essere restata per un po'in silenzio, disse: "Cos'è la setta? Eh via! Temo di non essere la persona più adatta a rispondervi: questo sarà il compio del Custode. Intanto, sappiate che quello che la setta ha fatto per me, una madre non lo fa per un figlio, e Dio m'è testimone".
<Chissà a quale Dio si riferisce!> pensò Renzo, ma non ebbe il tempo di approfondire, in quanto Ignazio aveva aperto una porta e li aveva invitati ad entrare. Renzo sussultò.
"Eh via, questa è la setta, la setta di Aaron".
Queste parole entrarono e uscirono dagli orecchi di Renzo, rimasto pietrificato come quando, tre giorni prima, aveva aperto la lettera scoprendo che non si trattava di una minaccia. Solo che questa volta non era affatto sollevato.
Davanti a lui, oltre la porta, vi era un tavolo rettangolare al quale erano seduti una dozzina di individui. Tutti se ne stavano per i fatti propri, tranne un paio di gruppetti che chiacchieravano tra loro. Renzo aveva riconosciuto, ad una estremità del tavolo, l'energumeno ben vestito che gli aveva consegnato la lettera. Costui, con addosso un paio di occhiali e un saio da frate, stava leggendo un libro dalla rilegatura nera, dal titolo "Monita Privata Societatis Jesu". Ciò che però scosse notevolmente l'animo di Renzo fu che questi riconobbe nella medesima persona Fermo Marini, l'"indegno" abate del monastero di Rimini.

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora