Piccoli giochi politici e un imprevisto

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«Non del tutto ottuso, il parroco. » pensò il conte Attilio, Soverchiatore etc., il quale avrebbe sicuramente domandato in quale occasione i due si fossero conosciuti, se le campane non si fossero messe a suonare a lenti rintocchi, quasi a farlo apposta, nel preciso istante in cui aveva cominciato a parlare. Tuttavia, non volendo lasciarsi sfuggire una simile occasione, da una parte per seguire l'esempio di don Abbondio e rinsaldare i propri rapporti con un potente, e dall'altra per avere qualche notizia su ciò che si diceva in Senato sulla guerra franco-spagnola, che stava prendendo una brutta piega in quel periodo, mentre i due si avviavano verso l'entrata della chiesa, disse cortesemente, parlando durante gli intervalli dei rintocchi già menzionati: "Mi permetta, signor Governatore, di invitarla a pranzare da me; ammesso che un uomo illustre ed impegnato come lei possa concedermi un po'del suo tempo, naturalmente."
Seguì una noiosa litania: il marchese non voleva assolutamente disturbare, il conte riteneva che una visita di un amico non fosse mai da considerarsi un disturbo, il Dávila insisteva di non voler far affannare i suoi domestici, né tantomeno di voler attirare le antipatie degli oppositori su Attilio, il quale però replicò di non temere punto il risentimento di quattro mascalzoni temerari, e così andò avanti per un po', facendo a gara di ossequi come vuole la tacita legge del galateo tra gentiluomini. Ora, a noi non preme di descrivere simili dialoghi, che riteniamo noiosi ed inconcludenti: ci basta di riferire che i due trovarono un accordo. Contento era dunque il conte Attilio, che, avendo ottenuto ciò che desiderava, si sedette con profonda soddisfazione sulla propria poltroncina riservata; allegro era anche il marchese Dávila, perché, dall' inizio del suo mandato, aveva già ricevuto 57 inviti a pranzo; non privo di letizia era persino il nuovo parroco, dal momento che alla sua prima messa avevano assistito le due persone anzidette ed altre di una certa importanza. Questi fece il suo ingresso sull' altare, e tutto procedette regolarmente e senza nulla di rilevante da registrare.
Al termine della cerimonia, il conte Attilio noleggiò una carrozza e si diresse in tutta fretta verso la propria dimora, situata nel vicino comune di San Giovanni alla Castagna.
Aveva percorso quella strada decine di volte, ed essa non gli aveva mai riservato brutte sorprese. Per questo motivo, si spaventò non poco al vedere un losco figuro, avvolto in un ampio mantello, armato fino ai denti e con la faccia ricoperta da un lungo ciuffo, posizionarsi in mezzo alla strada, bloccandogli il passaggio.
Il conte Attilio si maledì con tutto il cuore per aver lasciato la sua scorta di bravi a piedi in modo da garantire maggior velocità al veicolo. "Al diavolo quei dieci minuti guadagnati! Ora rischio di rimetterci la vita con questo brigante!"
Il brigante si avvicinò al vetturino e gli domandò con voce stentorea: "Chi trasportate, buon uomo?" Il buon uomo, paralizzato dal terrore, rispose immantinente che stava trasportando il conte Attilio, Soverchiatore di Professione, proveniente da Olate.
Il Soverchiatore soverchiato maledì ora con tutte le sue forze il vetturino: «Stolto infame! Avrebbe potuto dire qualunque nome!»
Il brigante ordinò al passeggero di scendere, e dopo che questo ebbe ubbidito, gli disse, in tono d'accusa:
"Voi dunque siete il conte Attilio."
"Al vostro servizio. E voi chi siete?" rispose quest' ultimo, reggendosi a malapena in piedi.
Lo sconosciuto decise di rimanere tale ignorando la domanda. "Permettetemi di dirle, signor conte, che
siete un furfante della peggior specie, che a causa di bestie come voi centinaia, anzi migliaia di persone muoiono d'indigenza per via della carestia, e che io sono qui solo e unicamente per fare giustizia".
"Che blateri?" chiese il conte, che ormai aveva abbandonato il tono formale.
"Sappiate solo che ora vi ucciderò." Detto questo, sguainò una spada e si mise in guardia.
"Vorresti sfidare un povero vecchio a duello?"
"Io non vedo un povero vecchio, vedo solo un Soverchiatore che ha fatto soffrire me e i miei amici di stenti."
"Voi mentite!" Detto questo, si mise anch'egli in guardia.
"E voi mentite che io abbia mentito!"
Il conte Attilio si meravigliò sentendo pronunciare da un bandito le formule convenzionali dei duelli cavallereschi.
"Ora ti dimostrerò che nessun villano, per quanto temerario, può competere con un nobile nell'arte della spada, nemmeno se ha l'età dalla sua."
"Questo è tutto da vedersi."
Lo scontro ebbe inizio, e non vi fu economia di colpi. Il conte Attilio non scherzava quando diceva di essere in gamba, ed a livello di tecnica tra i due non c'era paragone, ma il bandito era veloce e la sua spada più pesante.
In due occasioni il conte schivò di poco una stilettata dell'avversario, che sembrava non risentire della fatica.
Allora il conte valutò, soppesò le possibilità, e agì con incredibile lucidità e fulmineità:
diede tutto se stesso e attraverso una serie di finte e di stoccate riuscì a far allontanare il nemico dalla carrozza e ad avere la stessa alle spalle, per poi saltare all' indietro con un balzo felino e ritrovarsi all'interno della vettura. "Parti, parti!!!" gridò al conducente, che agilmente frustò i cavalli facendoli scattare al trotto.
Il bandito imprecò, sacramentò e ingiuriò il conte scalpitando. Attilio percepì distintamente solo alcune parole: "vigliacco... lestofante... giustizia, finalmente!"
"Figuriamoci se ho tempo da perdere con un mascalzone." disse il gentiluomo fra sé "Almeno avrò un bell'aneddoto da raccontare al signor Governatore."

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora