Nascita di una balzana compagine di galantuomini

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Se mai vi fosse, e non dubito che ci sia, nella nostra società, un elemento di discordia, di follia pura all'interno del ragionevole senso comune, che preme per farsi valere, per prendere il sopravvento su quella normalità che esso trova scialba, odiosa, ripugnante, questo sarebbe quanto di più vicino possibile alla setta di Aaron ci si possa immaginare.
Renzo era, se ci è lecito far uso d'un eufemismo, spaesato alla vista di tutti que' signori, ed in particolar modo dell'abate. Stava per farglisi vicino, ma fu attratto da un altro viso conosciuto. <Lo stoccafisso?> fu ciò che pensò. Ma poi, guardandolo meglio, si accorse che questo signore non disponeva di quella così peculiare aria beota dell'uomo che li aveva seguiti per gran parte del viaggio. "Mi perdoni se l'ho scrutata con sguardo indagatore, ma mi sembrava di averla già vista, e solo adesso mi accorgo del mio errore."
L'uomo rispose: "Ma che dite? Certo che ci siamo visti. Esatto! Non mi fate quella faccia da pesce lesso, con quella bocca socchiusa e quegli occhi impauriti. Poi non lo sapete fare bene: quella è mia prerogativa esclusiva." E modellò sulla propria faccia quell'espressione che tanto si era impressa nella memoria di Renzo."
"Io mi ricordo di voi." disse ad un tratto Gervaso, che sin ora non aveva proferito verbo. "Ci avete fatto prendere un bello spavento, a seguirci per mezza Italia. Eravate sempre un passo avanti a noi: temevamo foste una spia che voleva ostacolarci, e magari farci del male".
"Caro signore, potete stare tranquillo. Dissimulare ed eludere, dire tutto ed affermare niente: queste massime mi hanno portato dove sono ora. Ma qui siete tra amici, e gli amici marciano insieme fino alla fine." rispose il signore, la cui ultima frase riuscì oscura alla stragrande maggioranza dei presenti.
<I membri di questa setta hanno il brutto vizio di parlare e fare strani discorsi e discorrere di amicizia quando non si sono ancora presentati> pensò Renzo, e chiese il nome a costui, che, dal modo di parlare, sembrava ricoprire un ruolo di rilievo all'interno di questa combriccola.
"Ebbene, signor Tonio, sappia che ho origini greche e che il mio nome, Αλήκος, è ai più incomprensibile. Sappia che qui sono conosciuto da tutti come Il Custode, e gestisco questa sede della setta di Aaron. La prego dunque di chiamarmi così; d'altronde, come faccio ad essere sicuro che il suo nome sia Tonio? Lei potrebbe essere un assassino, un ladro di identità o un talaltro simpatico individuo".
Il fatto che il Custode (anche noi lo chiameremo così per pura comodità) avesse parlato di "sede" significava che questa setta era molto più vasta di quanto Renzo pensasse. Quanto all'azzeccata ipotesi sul falso nome del nostro protagonista, egli riuscì a dissimulare il brivido che gli era corso sulla schiena.
Renzo non si arrese: "Dunque lei è l'autore della lettera. Benissimo, allora mi è stato detto che mi saprà dire cosa sia la setta di Aaron. Siete per caso anarchici? O eretici?" Concluse questa frase guardando in direzione dell'abate Marín, che seguitava attento a leggere il libro che teneva in mano.
Il Custode plasmò un sorriso amabilissimo, e rispose con vivo entusiasmo: "Provo sempre piacere a rispondere a questa domanda. Ebbene, per farlo devo raccontarle una storia, risalente a più di cento anni fa. All'epoca iniziarono ad infuriare le lotte di religione tra cattolici e luterani, le medesime che hanno portato all'attuale guerra. Viveva all'epoca, nella città di Roma, un uomo che intratteneva la gente per istrada con storielle che inventava. Egli era innanzitutto poeta, ma anche musicista, scrittore, studioso di lingue e viaggiatore. Era anche un abile sofista ed oratore, e sapeva veramente infiammare gli animi della folla, che considerava come "lo strumento più facile e più efficiente da usare per ottenere ciò ch'è d'uopo per la manutenzione e il miglioramento dello stesso." Col passare del tempo cominciò a godere di una certa fama, e un bel giorno fu contattato da un influente cardinale (chi fosse non si è mai saputo) affinché convincesse i cittadini di alcune zone dell'Italia settentrionale a restare fedeli al papa, e a non cedere alle "tentazioni ariane", come le chiamava egli nei suoi discorsi. In cambio la Chiesa lo avrebbe dotato della carica di sacerdote (del resto a quell'epoca indispensabile per poter predicare) e gli avrebbe garantito l'indulgenza per tutti i peccati commessi fino ad allora.
"L'uomo, per quanto relativista e scettico, era fortemente religioso, poiché era poeta, e i poeti sono pieni di contraddizioni. Gli fu dato il nome di Aaron, con riferimento ad Aaronne, che grazie alla sua abilità oratoria faceva da portavoce a Mosè, divenendo di fatto il primo sacerdote. Il tempo passava, ed Aaron svolgeva alacremente il proprio lavoro, girando per l'Italia e vivendo a spese dello Stato Pontificio. Tutto sembrava andare bene, in modo perfetto, finché Aaron non incontrò nella stessa città un predicatore luterano, a sua volta sofista, ma anche Soverchiatore, che col suo lavoro tentava di vanificare gli sforzi di Aaron. Quest'ultimo cercò di ignorarlo, di fingere che egli non esistesse, e di continuare a stupire la gente con i suoi aforismi. Non fosse che dovunque andasse si trovava sempre quell'odioso predicatore alle calcagna. Decise allora di andare a discutere con lui, ma il luterano rispose cinicamente: "Perché mai ti lamenti, stolto? Se io converto al luteranesimo un po'di villani, poi tu avrai modo di riconvertirli al cattolicesimo, affinché poi io li converta nuovamente al protestantesimo. Non capisci che abbiamo bisogno l'uno dell'altro, perché in questo modo nessuno di noi due resterà senza lavoro, e potrà condurre una vita da re?" Aaron, da sofista, apprezzava molto questo ragionamento, ma da poeta ciò lo disgustava. In seguito ripensò molto a quell'incontro, ma non riuscì a cavarci nulla. Ogni notte gli tornava in mente il ghigno sulla faccia del Soverchiatore, il suo naso adunco, i suoi radi capelli. Quell'uomo gli sembrava il male in persona, pur tuttavia ne era sinistramente affascinato.
Molti furono gli interrogativi a cui non sapeva rispondere, e, da poeta, si rifugiò nella scrittura; ma volle tentare con la prosa. Scrisse delle strane lettere, con contenuti fortemente contrastanti, in cui un maestro ed il suo degno allievo discutono costantemente di questioni effimere ma per nulla banali, tutte indirizzate ad una persona mai esistita e che mai esisterà. Per farvi capire ne reciterò un frammento:

dalla IV EPISTULA AD EFESINVM: (1)

-La nostra penisola è, come dicono i saggi italiani, abitata solo da uomini crudeli ed ignoranti?
-I saggi italiani, invero, non solo sono crudeli ed ignoranti loro stessi, ma con la loro essenza aiutano a diffondere la stoltezza e l'ignoranza, generando così un popolo di tracotanti ubriaconi.
[...]
-Ma, mi chiedo, l'Essere è davvero onnisciente ed onnipresente?
-L'essere è onnisciente, ma l'eccezione all'onnipresenza è dettata dal fatto che Dio non è nel male, e dunque non è in tutto. Infatti nei silos possiamo dire che sia, ma anche che non sia, e ciò non lo comprenderai, perché, pur essendo pieno, sei in fondo vuoto.
-Nulla, nulla comprendo quando voi parlate dei sacri silos, che tutto contengono ma nulla comprendono.
-I silos sono la più perfetta imitazione dell'Essere, la "più migliore"; in quanto tengono enti che non sarebbero senza il loro essere.
-Il quale essere è e non è contemporaneamente, dico bene?
-Di tutte le cose "che nulla hai compreso" questa è l'unica giusta; essere e non essere, contrario dell'essere nel non essere, contrario del non essere nel non essere dell'essere, contrario del non essere dell'essere del contrario del contrario.
-Mi chiedo se questa bella storiella abbia un significante reale ed un significato immaginario o viceversa, o se siano entrambi immaginari.
-Lei mi offende. Nulla, se non quanto ho detto, è reale ed allo stesso tempo irreale.

"Aaron cominciò a leggere i propri scritti nelle piazze, sulle tribune, in teatro, in case private. Cominciò a circondarsi di persone che vedevano in quello che diceva l'emblema stesso dell'anarchia. E qui arrivo alla vostra domanda. Siamo anarchici? Sì, ma non come lo intendete voi: noi non siamo contro il potere, ma contro il potere costituito. E questo comprende anche le sette. Noi detestiamo le sette! Non possiamo sopportare la loro cialtroneria, il loro atteggiamento presuntuoso, la loro Soverchieria. Ma torniamo alla storia di Aaron: egli si licenziò dall'incarico affidatogli dalla Chiesa, pur mantenendo il titolo di sacerdote, e scappò in Lombardia. Durante il suo viaggio molti luoghi conobbero il suo pensiero e lo apprezzarono. Tra questi vi è Rimimi, e noi siamo gli eredi di quei discepoli che fondarono questa sede, come più di trecento anni prima l'arrivo di Giotto portò alla nascita della Scuola Trecentesca. Gloria eterna a loro, e a chi ha saputo opporsi a ciò che dice il mondo in favore della propria libertà e del proprio cuore!
"Sembra che Aaron, giunto in Lombardia, abbia cambiato nome, ma mantenuto il soprannome nel suo cognome (scusi il gioco di parole). Ci è giunta voce che vi sia, a Lecco, un suo erede, tal Guido Aaroni, se non erro."


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Note:
(1) IV Lettera all'Efesino, Scritta insieme a  Jackborkh02, folle animo (ig)nobile.

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora