Il grande piano di padre Teopoldo

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Come disse un talentuoso scrittore, la cosa incredibile dei miracoli è che accadono (1). Io credo che i pensieri di Renzo non fossero molto distanti da questa affermazione, quando vide la carrozza comparire velocemente nella piazza, dando tuttavia ai presenti l'impressione che il suo fosse un vero e proprio ingresso trionfale, a cui mancava solamente il suono delle trombe in festa.
Sfortunatamente Renzo non distingueva ormai la realtà dalla sua delirante immaginazione, e dopo un accesso di gioia temette che gli zoccoli e la carrozza fossero unicamente una sua visione. Con questo cupo presentimento addosso, cadde a terra svenuto.
All'interno di questa carrozza vi era un personaggio ben noto tanto a noi quanto ai duellanti, e mi riferisco al padre Teopoldo, che abbiamo visto l'ultima volta in compagnia di alcuni gentiluomini.
Ora, il fatto che questo santo di frate intrattenesse rapporti amichevoli con dei Soverchiatori potrebbe esser cosa che abbia indignato i nostri carissimi lettori, ma abbiamo ottime argomentazioni per ribadire la probità di tale personaggio.
La verità è che non era necessario che Renzo gli chiedesse esplicitamente di persuadere codesti individui a smettere di importunare i più deboli, per il semplice fatto che Teopoldo si era già messo all'opera da tempo, di propria iniziativa.
Già da tempo egli, con alcuni frati suoi fedelissimi, si occupava della conversione sistematica di tutti i criminali, piccoli e grandi, che entravano nel convento. Anche qui la peste aveva dato una mano: la ingente quantità di bravi, bravacci, briganti e mascalzoni appestati che era stata ricoverata al monastero, ne era uscita completamente cambiata (nel caso queste persone non fossero morte prima, si intende).
Ma Teopoldo sapeva bene che convertire un po'di furfanti non sarebbe mai bastato per eliminare le soverchierie: sapeva che per riuscirci avrebbe dovuto far perdere il piacere che procuravano nelle persone che le praticavano.
Cominciò a diffondere, tramite una raffinatissima azione propagandistica, l'idea che praticare soverchierie non fosse solo un divertimento, ma un'arte, poi una professione, e infine un dovere. Iniziarono a comparire fogli di stampa con articoli e inserzioni firmati da sedicenti esperti Soverchiatori, che sostenevano di voler sensibilizzare i loro colleghi riguardo ad un reale pericolo di estinzione che le soverchierie stavano correndo, e li incitavano ad impegnarsi in queste attività con zelo al fine di prevenirne la scomparsa.
Ecco un brano tratto da queste opere:

Et dunque, illustrissimi signori, ui chiedo: non siamo forse noi galantuomini? Non abbiamo da anni et anni mantenuto le tradizioni dei nostri aui, dei nostri maestri di uita? [...] Uogliamo dauuero gettare al uento le innumereuoli possibilità che deriuano dal praticare souerchierie? Non è stato proprio grazie ad esse se la società che conosciamo è diuenuta quel massimo modello di virtù et ciuiltà che è? La nostra storia quanto sarebbe monotona senza l'interuento di personaggi del calibro di Ercole, Nerone, San Cirillo, Carlo Magno, Carlo V d'Asburgo, nobilissima casata, o il conte duca, tutti esimi Souerchiatori![...]
Io dico, colendissimi gentiluomini, che è inaccettabile uedere una risorsa come le souerchierie destinata a perire senza che si sia data la possibilità di disputare in un duello con spada alla mano la questione cauallerescamente et dignitosamente.
Perciò ui chiedo di impegnarui più di quanto mai abbiate fatto, per mantenere uiua la speranza di poter uedere i nostri figli et discendenti a uenire praticare anch'essi ciò che noi tanto amiamo.
Reginaldo Agilulfi, Souerchiator Professionista di titolo et di fatto

Dietro questi articoli c'erano Teopoldo ed il suo indefesso team di fedelissimi frati.
Non prendeteli per matti, ora vi spiego.
Padre Teopoldo, nella sua lunga vita, si era reso conto che nulla fa perdere la voglia di svolgere un'attività ricreativa quanto il trasformare quella stessa attività in un lavoro. Professionalizzando le soverchierie, aveva ottenuto dapprima l'effetto di rendere queste ultime proibitive per le persone meno abbienti (e con "meno abbienti" intendo quelle che avevano bisogno di lavorare per vivere, a differenza dei nobili che campavano di rendita o che affidavano i loro latifondi a qualche gestore o tenutario, avendo quindi a disposizione maggiore tempo libero da impiegare per la loro attività preferita). Di conseguenza i piccoli e medi Soverchiatori divennero osteggiati da quelli più grandi, e furono declassati a "prepotenti" ed "arroganti", gente che in somma costituiva un insulto alla nobile arte della soverchieria.
Rimasti solo i nobili, ben presto molti si stancarono di occuparsi di soverchierie, trovandosi spesso a corto di idee, sperimentando così la sindrome dell'artista, che in qualche momento della sua vita si trova sempre in una situazione di blocco. Questo era accaduto proprio a don Rodrigo, un tempo uno dei migliori Soverchiatori Agonisti esistenti.
Tirate le somme, i veri e propri Uomini Senza Timor di Dio, come erano soliti essere chiamati un tempo, si contavano sulle dita. Il conte Attilio era orgogliosamente (sebbene inconsapevolmente) uno di questi.
Fu premura di padre Teopoldo mantenere vivi i contatti tra lui e questi pochi Soverchiatori rimasti, e far credere loro di essere ancora una setta riverita ed incrollabile, in grado di soggiogare persino il clero, quando in realtà stava accadendo esattamente il contrario. Nel frattempo il sistema del feudalesimo, colonna portante delle soverchierie, in quanto il rapporto tra padrone, vassallo e servi della gleba stabiliva una gerarchia che si prestava molto bene ai soprusi, e dunque alle soverchierie stesse, aveva cominciato il suo declino.
Come risultato finale, ricapitolando, si erano ottenuti tre diversi gruppi di persone legate in qualche modo alle soverchierie: il primo gruppo era costituito dai piccoli Soverchiatori che non erano sufficientemente ricchi per essere tali; il secondo gruppo era formato dai potenti che si erano disinteressati a queste attività; il terzo e più ridotto, infine, comprendeva i pochi individui che persistevano nel tenere alto il valore delle tradizioni e della cavalleria.
C'è da aggiungere che i primi non erano considerati Soverchiatori dai secondi, e men che meno dai terzi; i secondi non lo erano considerati dai terzi ed erano osteggiati dai primi; e per chiudere il cerchio, i terzi erano tacciati come folli e fanatici dagli altri due gruppi.
Ora, sperando di non aver perso per strada i miei lettori in queste ultime righe, coloro che le hanno seguite avranno capito che la situazione volgeva a favore del padre Teopoldo, senza che nessuno avesse la minima idea di ciò che stava accadendo, né, d'altronde, aveva l'animo di porsi delle domande.
Si saranno anche accorti che ciò per cui Renzo si stava prodigando mettendoci anima e corpo, a cui aveva dedicato la propria vita e in cui aveva riposto le proprie speranze, era perfettamente inutile.

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Note:
(1) G.K. Chesterton, nel racconto La croce azzurra

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora