Scontri nel parentado

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Dintorni di Olate (o Piccol Regno di don Rodrigo, che dir si voglia), domenica 17 maggio 1643

Abbiamo ritenuto inutile descrivere la bicocca di don Rodrigo. Come già accennato, se ne è già esaurientemente occupato Manzoni.
Ciò che conta è che quella domenica don Rodrigo era pronto a ricevere nella propria magione il conte Attilio, dopo che i due ebbero adempito al dovere di assistere alla Santa messa, che tra l'altro era stata la prima di cui il nuovo giovane parroco, don Martino, si era occupato, senza contare il funerale di don Abbondio. Avreste dovuto vedere con quale attenzione le anziane signore di Olate badavano, più che a ciò che diceva, al genere di fiori (decisamente troppo grandi!) che aveva fatto mettere sull'altare e alla posizione sparsa delle candele (forse le avrebbero messe più in fila, in maniera più elegante...)
Ma tralasciando questi fatti di cronaca locale, i due cugini si apprestavano a pranzare insieme, in quanto don Rodrigo doveva mantenere fede alla promessa di far rivedere i suoi figlioli al conte Attilio, dopo tanti anni.
E così si avviarono al castello senza por tempo in mezzo, in quanto entrambi avevano esplicitamente espresso l'un l'altro la premente volontà nonché bisogno di nutrirsi.
Giunti nella dimora, furono aiutati a togliersi le cappe, le giacche, i cappelli (o qualunque altri indumenti necessari a ripararsi dai climi rigidi in quel contesto storico) dai servitori che attendevano agli ordini di don Rodrigo; in seguito si disposero ad entrare nella sala da pranzo, dove già erano attesi da Lucia e dai suoi due figlioli, tutti agghindati per l'occasione.
Il conte Attilio strinse loro la mano. I due si presentarono con formalità, come gli era stato detto e ripetuto di fare. Il maggiore si chiamava Ruggero, e il minore Diego. Il conte fece i complimenti ai coniugi per avere dei figli così robusti, e disse che parevano pronti a diventare perfetti galantuomini.
"Non sarà ora di comprare loro un bastoncino animato?" fece il conte Attilio, ammiccando ai bambini.
"Non dite assurdità, cugino. Il più grande, lo potete vedere da voi, ha solamente 12 anni."
"Mah... Io non ci vedo nulla di male. Son cose da imparar presto, tant'è vero che il buon vecchio conte zio..."
"Preferirei che evitiate di parlare di lui." disse don Rodrigo con fermezza "Come vi ho già detto, non dovete parlare di Soverchiatori ai miei figli. Se decideranno di seguire le nostre orme, vorrei che fosse solo e unicamente per una loro scelta."
"Vi siete un po' rammollito, vedo. D'altronde, per essere genitori immagino occorri essere dolci e gentili." A questo punto si rivolse a Lucia. "Signora, vi faccio i complimenti. Nessuno era mai riuscito a rendere così mansueto quest'asino di mio cugino, a calmare la bestia che è in lui. Una volta ci provò un frate, ma se ne andò con la coda tra le gambe; a quel che vedo, voi avete avuto successo".
Don Rodrigo ignorò le provocazioni del cugino, e lo fece accomodare di fianco a capotavola, in modo che si trovasse in mezzo tra lui e suo figlio Ruggero.
Durante il pasto il conte chiacchierò con il cugino e la sua consorte, senza quasi mai chiamare in causa i bambini, come c'era da aspettarsi. Ad un certo punto il conte si rese conto di stare trascurando lo scopo per cui si trovava lì, così domandò ai nipoti: "Per caso state studiando la storia antica, ragazzi?"
"La hanno entrambi già studiata, se non erro" rispose Lucia con garbo, cercando la conferma del marito, il quale annuì.
"Mi perdoni, signora, ma non vedo perché non chiederlo direttamente a loro." disse il conte Attilio puntando lo sguardo su Ruggero, che, impaurito, lanciò un'occhiata ai genitori come a chiedere se avesse il consenso di parlare. Il consenso arrivò. "Io sto studiando gli accadimenti del secolo XIV, con la guida del mio istitutore." La frase uscì nuovamente con un certo tono d'affettazione dalla bocca dell'imbarazzato ragazzo.
Diego, più baldanzoso, rispose di aver terminato da poco lo studio del Medioevo.
"Benissimo. Dunque vi troverei pronti facendovi qualche domanda?"
I ragazzi annuirono, mentre don Rodrigo assunse un'aria altamente sospettosa. Cominciava ad avere caldo, e per qualche ragione avrebbe preferito di gran lunga che questa improvvisata interrogazione non si fosse tenuta.
"Chi sa dirmi in che anno il re Serse attaccò i Greci con un'enorme spedizione?"
"Io lo so!" esclamò Diego "Fu nel 480 a.C."
"Bravo! Ti meriti una chicca." Attilio porse il dolcetto al ragazzo, poi proseguì.
"Ora, una più difficile. Quale fu il primo imperatore romano ad emanare leggi contro le comunità cristiane?"
"Nerone!" urlò Diego agguerritissimo dopo aver scoperto il premio in palio.
"Troppo precipitoso, ragazzo. La risposta è sbagliata." decretò il conte.
"Glielo posso dire io." disse Ruggero, con un tono più basso "Si tratta dell'imperatore Claudio."
"Ottimo!" sentenziò Attilio, e ricompensò il giovanotto allo stesso modo del fratello.
"Aspetti, signore. Non è giusto! L'è chiaro che se la risposta da darsi non era 'Nerone' non poteva che essere 'Claudio'."
Il conte Attilio sorrise, in quanto era evidente che gli piacevano alquanto la sagacia ed il valente animo del ragazzo, benché cercasse ora di convincerlo a rassegnarsi. "Sappi che il mondo è fatto di ingiustizie, Diego" gli diceva con tono paterno. Nel contempo in cui Lucia era divertita da questa pantomima, don Rodrigo stava all'erta come un segugio, e guatava il cugino come se questo fosse stata la preda in procinto di compiere un passo falso, perché Rodrigo si era fatto un'idea su dove egli stesse andando a parare.
"Ora, un'ultima domanda. Se risponderete in maniera corretta riceverete una ricompensa doppia." disse il conte Attilio suscitando un'enorme attenzione da parte di tutti i presenti.
"Sapreste dirmi... la ragione per cui Alcibiade fu accusato e condannato dagli Ateniesi prima che partisse per Siracusa?"
"Facile." disse Ruggero "La decapitazione delle erme."
"Precisamente." Dopo aver premiato il vincitore, il conte Attilio gli chiese con voce alquanto seria: "Dimmi, Rugggero: secondo te quale fu la reale ragione per cui lo condannarono?"
Ruggero ci pensò a lungo, cercando di ricordare qualche particolare menzionato in qualche lezione che probabilmente aveva dimenticato. Alla fine si arrese.
"E tu, Diego? Hai qualche ipotesi?"
"Be', non saprei. Da quel che ricordo, Alcibiade era un democratico, quindi gli Ateniesi non avrebbero dovuto aver nulla contro di lui. E all'epoca della decapitazione delle erme, non li aveva ancora traditi."
Il conte Attilio sorrise: era proprio lì che voleva arrivare.
"Come ti ho detto prima, il mondo è fatto di ingiustizie. Le persone più meritevoli sono sempre le prime ad essere eliminate, e, quand'anche restino in campo, si può star certi che sarà fatto di tutto per ostacolare il loro operato.
Riguardo al tradimento, il vostro istitutore non vi ha mai esposto la possibilità che egli si schierò con gli Spartani proprio perché gli Ateniesi lo avevano a loro volta e ancor più ignominiosamente tradito con quella folle accusa?"
Don Rodrigo non poteva più soffrire il comportamento del conte, ed espresse significativamente la propria disapprovazione: "O caparbio cugino, vi ho già più volte accennato al fastidio che arrecate in questa casa parlando a quel modo da affabulatore, da quel demagogo che siete. Se questa condizione non v'istà bene, farò di buono di cacciarvi di casa, sebbene mai vorrei arrivare ad una tale estrema misura".
Il conte Attilio restò calmo e non alzò la voce, ma rispose più che a tono all'arringa del cugino. "E che! Uno zio [di secondo grado, aggiungeremmo noi amanti della precisione] non può nemmeno dare una lezione di storia come si conviene ai propri nipoti? Voi davvero, ingrato birbante, avreste l'ardire di gettare me fuori di casa dopo ciò che feci per voi? Se non fosse stato per le mie conoscenze nel Tribunale della Sanità, e in particolare dell'egregio dottor Lodovico Settala, voi non avreste mai dato credito alla diffusione del morbo, ed ora vi trovereste nella fossa".
Non è dato sapere fino a che punto i due contendenti sarebbero andati avanti a denigrarsi, per il semplice fatto che l'intervento pacificatore di Lucia, insieme alla presenza dei bambini, che erano rimasti atterriti ma affascinati, perplessi ma non traumatizzati, pose fine alla disputa.
Il pasto continuò in un'atmosfera un po' tetra, in quanto i due protagonisti della scena si rifiutavano di parlare tra loro, lanciandosi di tanto in tanto occhiate malevole e gelide. Una delle grandi doti del tempo è di trascorrere ineluttabilmente, e tutti furono in grado di apprezzare questa peculiarità una volta giunta l'ora dei congedi.
Il conte salutò Lucia cortesemente, don Rodrigo freddamente, e i ragazzi allegramente. Poi se ne andò a sbrigare certe faccende di cui non abbiamo notizia.
Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, don Rodrigo disse con un sospiro: "Mio cugino sta delirando, è evidente".
"Non avertene cura, caro" gli disse Lucia per consolarlo "Io credo che sia solo un uomo fuori epoca, e dalla mente un po' balzana, ma del tutto innocuo".
"Speriamo". disse don Rodrigo in un nuovo sospiro. "Avete notato che ha menzionato il frate Cristoforo?"
"Sì. Credo sia stato solo un tentativo di provocarti. Non penso avesse l'intenzione di rivangare il passato."
Don Rodrigo non sembrava del tutto convinto di questa affermazione, e, rivolgendosi ai figli, disse: "Voi due non ascoltate ciò che egli dice: ha una visione tutta sua del mondo, non sempre apprezzabile".
I ragazzi si dichiararono pronti ad obbedire, ma un ammonimento non poteva bastare a cancellare dalle loro menti, in particolare da quella di Diego, il pensiero che ciò che Attilio aveva detto possedeva una sua logica, e per giunta inattaccabile.

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora