Giustizia

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Mentre il conte Attilio sbrigava quelle tali faccende, Gian Giacomo non era rimasto inattivo.
Quella sera, in un paesino nella periferia di Lecco, qualunque osservatore avrebbe potuto vederlo girovagare in attesa, senza sospettare minimamente le sue intenzioni. Non dovette aspettare molto per vedere le proprie previsioni avverarsi; infatti vide comparire in paese un losco mendicante, con il volto coperto da un ciuffo e una spada alla cintola, il quale si recava di casa in casa a chiedere qualcosa da mangiare. Le abitazioni lo accoglieva calorosamente, e sembrava fosse caro a tutti gli abitanti. Gian Giacomo ebbe da ciò la conferma che si doveva trattare di don Tonio, e dunque dello stesso mendicante che aveva aggredito il suo cliente. Il sicario sapeva bene che se avesse combattuto contro un pitocco, anziché un gentiluomo,
avrebbe sicuramente attirato meno attenzione, in quanto attaccar briga con un 'mascalzone', come lo avrebbe chiamato il conte Attilio, era cosa da tutti i giorni.
Gian Giacomo era scortato da due bravi ben addestrati e aveva deciso di disporli all'entrata dell'osteria, dove il mendicante non avrebbe certamente mancato d'entrare.
Fu così che quando Renzo era in procinto di fare il suo ingresso nel locale e si vide la strada bloccata da due marcantoni dallo sguardo poco amichevole, un fremito gli corse lungo la schiena.
"Colleghi, lasciatemi entrare, di grazia." mormorò invitandoli con un gesto a scansarsi, senza ottenere nessun risultato.
"Ce ne duole, ma non possiamo esaudire la sua richiesta" gli disse il primo, che aveva una faccia tonda come un uovo e i capelli radi.
"Proprio così: lei ha un conto da rendere al nostro padrone" continuò l'altro, uno spilungone con dei baffi appuntiti e un sorriso ancor più aguzzo.
"Di che parlate?" domandò Renzo cercando di mantenere un atteggiamento di superiorità "sono un mendicante, ho debiti con tutti e con nessuno".
"Non le conviene fare lo spiritoso" disse il secondo bravo tirando fuori un coltellaccio dalla sua custodia.
"Già, noi, per quanto ci riguarda personalmente, non vorremmo che le si faccia alcun male, ma, d'altronde... eh, se lei non si dispone a collaborare..." e fece anch'egli luccicare un coltello ben affilato.
Una breve interruzione fu creata dalla voce dell'oste, che invitò gli uomini a fare qualche passo in direzione orizzontale.
Egli apprezzava la discrezione di sbrigare i loro affari fuori dall'osteria, ma li avrebbe ancor più ammirati, e reputati veri galantuomini, se non avessero intralciato l'entrata della sua locanda.
Ebbene, i bravi intimarono a Renzo di seguirli, senza fare brutti scherzi. Sebbene avrebbe voluto tentare di opporsi, Renzo non voleva rischiare di morire, perché in questo modo sarebbe venuto meno alla promessa che tempo addietro aveva fatto a Tonio, che come sappiamo consisteva nel proteggere Gervaso ad ogni costo.
Dunque il mendicante fu scortato dai bravi lungo le vie del paesino. Chi assisteva alla scena si toglieva d'istinto il cappello, un po' per rappresentare la loro deferenza nei confronti degli oppressori, e un po' perché la figura di Renzo ricordava così tanto quella di un carcerato condotto sul patibolo, che le persone non potevano astenersi dal mostrare un vivo rispetto verso il condannato.
Il triumvirato giunse in una piazzola quasi deserta. Ciò che non la rendeva deserta per intero era unicamente una figura elegantemente vestita, con un cappello da cui si stagliava in aria una lunga piuma di corvo.
Renzo fu condotto al cospetto di Gian Giacomo Truffaldini.
"Eccoci, capo" interloquì il bravo dalla faccia d'uovo "Il bersaglio si è fatto vivo all'osteria, proprio come lei aveva previsto".
Gian Giacomo sorrise al 'bersaglio', e gli tese la mano.
"Lei è il capo? Non mi sembra di aver mai avuto l'onore di conoscervi" disse Renzo sospettoso.
Tenendo il braccio teso, il sicario disse: "Certo che non ci siamo mai conosciuti, e per questo vorrei supplire a tale mancanza stringendovi la mano".
Renzo compì freddamente questo formale gesto, e quando ritrasse la mano da quella del nemico era non poco dolorante.
"Io" continuò il sicario "mi chiamo Gian Giacomo Truffaldini, e ho saputo che voi avete recentemente avuto un disguido con il mio cliente, il signor conte Attilio".
Renzo si sentì da un lato enormemente sollevato. Nessuno aveva scoperto nulla del suo piano, e ora si trattava di uscire da una situazione non così difficile.
"Mi rendo conto del male che ho causato a un così rispettabile membro della società. Giuro su tutto ciò che c'è di più caro al mondo che mai più gli sarà riservato da parte mia un trattamento così disdicevole".
"Voi parlate bene per essere un mendicante" disse Gian Giacomo in tono inquisitorio, con lo scopo di mettere a disagio Renzo. L'obbiettivo probabilmente fu centrato, perché Renzo perse la sicurezza che aveva fino a questo momento mantenuto.
"In ogni caso" continuò il sicario "lei capirà bene che se tutti potessero sfuggire impunemente dalle proprie malefatte, il mondo cadrebbe nel disordine, ed io detesto il disordine. Sono stato inviato qui per punirla, e lei non sfuggirà al castigo." Gian Giacomo aveva assunto un sorriso malevolo che attraversava obliquamente la sua faccia. Era spaventoso quanto ciò che faceva per vivere.
Renzo si rese conto che con la diplomazia c'era ben poco da ottenere da un folle come il suo interlocutore, e disse in un ultimo slancio di temerarietà: "Sta bene, ma lasci che le dica una cosa. Lei, vassallo delle soverchierie, potrà anche uccidere me, un misero servo della buona società, ma potrà star certo che voi malvagi, improbi reietti che solo per scrupolo scientifico si possono far rientrare nella specie umana, non l'avrete vinta, e ultimamente la giustizia trionferà su di voi e porrà fine si vostri soprusi."
Gian Giacomo ristette fermo: non si aspettava un attacco così feroce. Alla fine scoppiò in una fragorosa risata.
"Ah, quanto vorrei essere ancora come lei, signore! Un povero idealista che continua a considerare la giustizia una forza al servizio del bene. 'La giustizia trionferà!' 'Metterà fine ai vostri soprusi!' Hahaha... Lei non ha la minima idea di cosa sia la giustizia, eppure la continua ad elogiare come fosse la massima espressione di civiltà raggiungibile dall'uomo, quando l'uomo non è neppure lontanamente in grado di avvicinarsi al concetto di giustizia divina. Le parlo per esperienza personale, in quanto in passato lavorai a lungo per quella che pensavo essere la giustizia. E per ricompensarmi, questa 'giustizia' mi ha sbattuto in cella! Non ha ancora capito che quella che lei chiama 'giustizia' è una soverchieria camuffata, e che gli uomini che la servono non hanno nulla da invidiare ai Soverchiatori?"
A Renzo sembrò che il mondo si fosse sgretolato sotto i suoi piedi. Gli tornarono alla mente ciò che avevano detto Gertrude e padre Teopoldo, rispettivamente sull'anticristianità di una guerra contro i Soverchiatori e sulla difficoltà di distinguere il bene dal male.
Intanto Gian Giacomo continuava il suo panegirico: "Sa, io ero venuto qui per compiere un'esecuzione, ma visto che lei mi ha messo di buon umore le voglio dare una piccola possibilità di salvezza." Detto questo, lanciò a Renzo una spada senza il fodero, che il falso mendicante riuscì per poco a schivare, e che si conficcò nel terreno.
Quindi tirò fuori un'altra spada (evidentemente ne era ben fornito) ed incitò il signor Tramaglino a combattere.
Renzo era ancora scioccato per ciò che aveva sentito, e aveva voglia di tutto fuorché di combattere. Lentamente impugnò la spada e si preparò, stando in posizione difensiva.
Il suo avversario lo caricò con furia, cercando di mettere subito fine al duello infliggendo all'avversario una ferita mortale, ma Renzo si difendeva senza lasciare zone scoperte.
Gian Giacomo si rese presto conto che il suo avversario non aveva intenzione di rispondere all'offensiva, e allora effettuò con il polso un movimento a spirale destrorsa, in modo da toccare la lama di Renzo, per poi esercitare una forte spinta verso l'alto, facendo così saltare via la spada nemica. Renzo era rimasto disarmato, e sentì una fitta di dolore nel braccio con cui aveva poco prima impugnato la spada. Si accorse di sanguinare, e di essersi procurato una ferita senza neanche essersene accorto. Riconobbe la manifesta superiorità del proprio avversario, e si rassegnò al peggio. Si sentiva incapace, debole, tanto debole, sempre più debole... Le forze gli stavano venendo meno, e cadde in ginocchio. La vista gli si offuscò, tanto che distingueva a malapena ciò che lo circondava. Stava per svenire, un po'per via della piaga, ma ancor di più a causa dell'ingente trauma psicologico subito. Le parole di Gian Giacomo tempestavano la sua mente. L'ultimo suono che percepì fu uno scalpitare di zoccoli. Sì, erano zoccoli, e si stavano avvicinando. Erano un numero indistinto di cavalli al trotto. Una carrozza! Forse era salvo.

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora